E le premesse c'erano tutte:
- il difficile accordo per arrivare ad una costituzione condivisa;
- le violenze dei mesi precedenti alle elezioni;
- un serie di attentati terroristici nei giorni immediatamente precedenti alle elezioni, di cui l'ultimo solo pochi minuti dopo che Mandela aveva espresso il suo voto, che avevano provocato 21 morti e 176 feriti.
Ed invece no, all'apertura dei seggi fu immediatamente evidente come tutte le paure della vigilia fossero errate: milioni di sudafricani si misero in coda per votare, la maggior parte di loro per la prima volta.
Nei giorni seguenti le troupe televisive mondiali iniziarono a ridurre gli staff, era evidente che non servivano tutte quelle competenze in guerre e rivoluzioni.
E si raccontava ridendo di quelle famiglie di bianchi che si erano trovate a dover faticosamente smaltire le tante scorte di scatolette fatte pensando di doversi chiudere in casa nel timore che la vittoria di Mandela fosse preludio a scarsità e vendette.
Era 20 anni fa. E gli anniversari sono sempre una occasione di riflessione.
E questo anniversario non si sottrae a questa norma. Non si sottrae perché se è vero che il Sudafrica ha fatto tanta strada in questi anni, se è vero che i profeti di sventure sono stati smentiti; tuttavia una parte delle aspettative e speranze non si sono realizzate, e le diseguaglianze sociali sono ulteriormente cresciute.
Ma sopratutto paiono essere giunti al pettine i nodi prodotti da un sistema politico caratterizzato dalla cristallizzazione dei partiti nei loro rispettivi ruoli, con il partito di governo, l'ANC ancora in grado di riscuotere tutti i consensi necessari a governare il paese per molti anni, e quello di opposizione destinato a comunque ad essere parzialmente identificato nella minoranza bianca.
La conseguenza più classica della cristallizzazione del ruolo di governo di un partito è che la battaglia per la guida del partito diventa la battaglia per il governo del paese, è questo è stato chiaro negli ultimi congressi dell'ANC; il secondo aspetto è che le carriere dipendono dalla capacità di governare il partito; ed infine in questo schema spesso la fedeltà conta assai più della competenza, anzi, a volte i troppo competenti potrebbero essere una minaccia alla leadership.
Fra pochi giorni in Sudafrica si voterà nuovamente, e saranno le prime elezioni politiche in cui voteranno i sudafricani "nati liberi", quelli per cui l'apartheid è solo nei racconti dei genitori. Sicuramente non ci saranno le code di 20 anni fa, e non solo per una migliore capacità organizzativa della commissione elettorale.
Non ci saranno le code perché all'entusiasmo di quei giorni sono subentrati i dubbi, tanti dubbi e tante critiche, e accanto all'arcivescovo Tutu, che ha pubblicamente dichiarato che non voterà per il partito di governo, pur riconoscendo i grandi progressi fatti dal paese sotto la guida di quel partito. vi è l'appello al Vote NO di alcuni leader storici dell'African National Congress, un appello che ha prodotto non poche discussioni e polemiche.
Non vi è dubbio infatti che il rinunciare all'esercizio del voto in un paese che tanto ha lottato per renderlo possibile sia una dichiarazione di impotenza assai più drammatica dell'evento che qualche anno fa aveva visto alcuni ex leader del partito fondare il COPE, un nuovo partito che puntava, senza troppo successo, ad intercettare il voto della nascente borghesia nera.
Una cosa è infatti ritenere che altrove vi siano spazi per poter operare, altra invece confessare l'incapacità al contempo di abbandonare il campo in cui si è lottato per una vita e di dare un voto per una dirigenza e probabilmente una politica, che si ritiene inadeguata alle necessità del paese.
Difficile fare previsioni sui risultati delle prossime elezioni e sui suoi effetti, anche se non pare in discussione la vittoria del partito di governo è evidente che per un partito che parte dalla maggioranza assoluta dei voti, ogni voto perso sarà motivo di discussione.
Quello che è invece chiaro che anche in Sudafrica, come altrove, conta la regola che una grande storia non è sufficente a garantire un futuro privo di contraddizioni, perché per usare la metafora usata da Nelson Mandela nella sua autobiografia:
"Ho percorso questo lungo cammino verso la libertà sforzandomi di non esitare, e ho fatto alcuni passi falsi lungo la via. Ma ho scoperto che dopo aver scalato una montagna ce ne sono sempre altre da scalare."