Ne parlavo non troppo tempo fa: lo slalom fra le legislazioni fiscali pare essere uno sport ben praticato dalle grandi multinazionali.
E pare sia talmente praticato da far suonare un campanello d'allarme nella organizzazione per la cooperazione economica (OCSE) che qualche mese su mandato del G20 fa ha avviato uno studio sul tema.
Pochi giorni fa ecco il comunicato che annuncia i risultati, dicendo che in sostanza vi sono grandi gruppi multinazionali che pagano solo il 5% di tasse sui profitti rispetto ad una media del 30%.
Ed aggiunge il comunicato che vi sono piccoli paesi che ricevono flussi di investimenti diretti sproporzionati, se confrontati con grandi paesi industrializzati, e da cui partono investimenti altrettanto spropozionati.
Un modo elegante per indicare nel paludato linguaggio diplomatico che quei flussi possono essere giustificati solo dalla necessità di ottenere vantaggi fiscali.
E` quindi lecito attendersi qualche progresso sul piano della legislazione fiscale: del resto fino a che a rimetterci era qualche paese in via di sviluppo le cose non preoccupavano troppo, tanto c'era sempre la leva dell'aiuto (o della carità) con cui riconquistare qualche cuore e ripulirsi la coscienza, diverso invece quando sono le casse dei paesi più sviluppati a rimetterci. Non a caso il comunicato rileva come queste pratiche per evitare le tasse siano divenute sempre più "agressive" negli ultimi 10 anni, lasciando ai cittadini normali il compito di pagare per la differenza.
Chissà, forse qualche cosa si sta muovendo, la domanda è se sia sufficiente: il sistema attuale che consente le elusioni si basa su due pilastri: l'esistenza di rifugi fiscali, di paesi dove cioè le leggi in materia di tassazione siano più generose, e la difesa feroce della segretezza. Quella segretezza che impedisce di sapere chi sia il titolare di questo o quel conto, ma anche la segretezza che consente di nascondere i veri proprietari di questa o quella azienda, (i difensori del sistema la chiamano riservatezza).
E' una cosa assai singolare che mentre nel mondo del commercio al dettaglio la trasparenza pare essere un mantra, penso solo a quei ristoranti con la cucina a vista, nel mondo degli affari nelle grandi transazioni ad un certo punto appaiono società di cui non si possono conoscere i soci e domiciliate in luoghi che dicono ben poco della loro storia.
E si trova di tutto.
Pare curioso ad esempio che Apple, Coca Cola e Google condividano con una loro società lo stesso indirizzo di personaggi dalla reputazione dubbia come Timothy S. Durham, soprannominato il Madoff del midwest, o con imprenditori balcanici dai traffici non sempre chiari. Eppure è così, il 1209 North Orange Delaware è l'indirizzo di oltre 285 mila aziende. Ed il Delaware luogo di snodo di ogni sorta di traffico legale, e pare anche meno legale.
Il motivo è sicuramente la legislazione fiscale da sempre assai favorevole, ma con tutta probabilità anche il fatto che per formarvi una società vengono richieste pochissime informazioni, qualcuno sostiene praticamente nessuna....
Insomma, nella società dell'informazione, la segretezza è una merce assai commercializzata.
E nella segretezza possono accadere molte cose, possono ad esempio scomparire i beneficiari di questo o quel conto, o di questo o quel trasferimento. Ed è nella segretezza che sono scomparse le ruberie di cleptocrati a tutte le latitudini.
Le stime delle risorse sottratte annualmente ai paesi in via di sviluppo e trasferite su conti all'estero sono impressionanti, ed oscillano fra i 250 e gli 800 milioni di dollari e ancora più impressionanti le cose che quei paesi potrebbero fare con quei soldi.
Un rapporto del progetto della Banca Mondiale dedicato al recupero delle proprietà sottratte, sottolinea come con per ogni 100 milioni di dollari recuperati si potrebbero dare 3 milioni di reti antimalaria trattate; o fornire per un anno assistenza a 600,000 persone affette da HIV/AIDS; o somministrare fra 50 e 100 milioni trattamenti antimalarici; o vaccinare 4 milioni di bambini, o collegare 250,000 famiglie alla rete idrica.
Sono tutte cose che la cooperazione internazionale prova a fare, e che i governi dell'occidente finanziano, in flussi ahimè calanti.
E pensare che ci sarebbero assai meno necessità se i soldi ammassati illegalmente e custoditi nelle banche del Nord grazie al segreto bancario venissero rimandati nei paesi di provenienza, e magari la fine della certezza della intangibilità delle ricchezze ammassate illegalmente costringerebbe i governanti ad iniziare a temere il giudizio dei propri concittadini...
Insomma, tutte le volte che parliamo del sud del mondo come sottosviluppato perché in mano a governi corrotti, pensiamo al fatto che non solo ci sono i corrotti, ma ci sono anche i corruttori, che spesso vivono assai più a nord,
e poi c'è chi regge il sacco, ben protetto da segreto e riservatezza.
17.2.13
2.2.13
la birra in paradiso (fiscale)
La notizia apparve a caratteri cubitali su tutti i giornali sudafricani in quel dicembre 1998, e fu così che i sudafricani seppero che la prima società industriale del paese ad essere quotata, nel lontano 1898, alla borsa di Johannesburg, spostava la sua sede principale a Londra.
Si chiamava South African Breweries e produceva la Castle lager, una presenza fissa in qualsiasi picnic, braai (come chiamavano a sud del Limpopo i barbecue), festa o celebrazione.
Era successo che con la fine dell'isolamento prodotto dall'apartheid e la fine delle sanzioni, agli inizi degli annni 90, l'impresa aveva iniziato a comprare società produttrici di birra in tutta l'Africa, e ce ne erano per un buon shopping: come una volta ebbe a dire un giornalista esperto in cose africane - La stampa di moneta e la produzione della birra sono le uniche due attività che in Africa sono passate indenni attraverso guerre civili, carestie, autocrazie e dittature -.
Alla fine degli anni 90, la SAB decise che era oramai grande abbastanza per il grande salto, e fu così che spostò le operazioni a Londra dove reperì i capitali necessari a diventare in pochi anni il secondo gruppo al mondo. Oggi si chiama SABMiller ed è proprietaria di marchi come Pilsner Urquell, Nastro Azzurro, Peroni, Dreher, Grolsch, solo per citare qualche marchio più conosciuto in Italia.
Ricordo i commenti degli esperti sudafricani dell'epoca che oscillavano da un senso di orgoglio, come quando la squadra di casa che va a cimentarsi nel campionato più difficile, alle preoccupazioni che le autorità sudafricane rendessero difficile lo spostamento (come era possibile, si trattava di una società quotata in borsa), al timore giustificato che questo producesse una perdita di introiti fiscali.
Gli accordi per evitare la doppia tassazione in gran parte del mondo infatti fanno si che il grosso delle tasse sugli utili societari vengano pagate nel paese in cui ha la società ha la direzione. Ed in questo caso i profitti societari si stavano spostando da Johannesburg a Londra.
La storia successiva racconta come il timore di un diniego delle autorità non si materializzarono, ed invece quelli legati alle questioni fiscali fossero probabilmente ben giustificati.
Nel 2010 un rapporto della organizzazione Action Aid evidenziava i meccanismi grazie ai quali la società finiva per pagare molte meno tasse di quanto non fosse lecito attendersi da un gruppo di quelle dimensioni, non solo, secondo Action Aid la particolare organizzazione delle operazioni faceva si che anche quelle tasse che avrebbero potuto essere incassate dai paesi produttori di materie prime, o nella distribuzione, alla fine non si materializzavano perché le società di quei paesi finivano per avere utili risibili.
La SAB Miller si difese da quel rapporto sostenendo come invece gli scarsi profitti tassabili nelle sue operazioni nei paesi in via di sviluppo fossero da attribuirsi alle condizioni operative e non a trucchi elusivi e come invece quelle che sembravano stranezze erano dovute alla necessità di assicurare efficienza nelle operazioni.
Personalmente pur non avendo gli strumenti per giudicare chi avesse ragione, trovo comunque la vicenda interessante perché contiene vari aspetti, che forse servono a spiegare molte cose del mondo di oggi e di perché il tema delle tasse andrebbe affrontato con un approccio ben diverso da quello, un po' moralistico, con cui viene spesso sollevato dalle nostre parti.
E magari può anche spiegare perché anche ciò che più dipende dal legame con il territorio e con la prossimità. come ad esempio la produzione di alimenti freschi, sia in più di una occasione finito in mano a società multinazionali, che come ci ricorda la vicenda della Parmalat, non sempre hanno migliorato le cose.
Prendiamo dunque l'esempio della birra, e prendiamo il caso posto da Action Aid: la proprietà e gestione dei marchi delle varie birre prodotte in Africa è di una società olandese anch'essa della SAB. Questo significa che i produttori africani di birre, della SAB Miller, ogni anno pagano robuste royalties alla società olandese, anch'essa della SAB Miller.
Non solo, all'interno della struttura dei costi delle operazioni della società africana si legge anche una voce per "management fees" pagate ad una sussidiaria svizzera (della SAB).
Poi viene il percorso delle materie prime, in questo caso prodotte in Sudafrica, e che nel caso narrato da Action Aid deve arrivare ai produttori del Ghana: se fisicamente prendono una strada, tutti gli incartamenti ne prendono un'altra passando invece da Mauritius, a 5000 miglia di distanza, dove opera una società della SAB, la stessa società che presta al produttore del Ghana i soldi necessari ad operare e che genera un debito per la società del Ghana che abbatte gli utili tassabili.
E' possibile che, come sostiene la società, dietro ad ogni transazione ci siano i motivi legati alla specializzazione di quelle varie destinazioni e che garantiscono efficienza al processo, e tuttavia difficile non notare che in Olanda la tassazione dei profitti da marchi e licenze sia molto più bassa che altrove, e che la Svizzera è tradizionalmente generosa con i profitti da management, per non parlare poi delle normative fiscali di Mauritius.
Va detto che SAB Miller è una società che fa qualche tentativo per sottolineare la responsabilità che le imprese hanno verso i paesi in cui operano, sopratutto quelli più poveri. E tuttavia parebbe usare tutti gli espedienti consentiti dalle normative fiscali nei paesi in cui opera per lasciavi il meno possibile.
Probabilmente è anche inevitabile che faccia così, perché il principio del mercato è quello di remunerare gli azionisti abbassando il più possibile i costi...E ovviamente non è la sola: si stima che il 60% del commercio mondiale avvenga all'interno delle grandi multinazionali.
Ed è forse questo il principale motivo di critica dell'idea del mercato come principale regolatore mondiale e capace di distribuire prosperità e giustizia, una idea che ha caratterizzato tutti questi anni.
E' un sistema invece diventato sempre più efficente nel sottrarre risorse, anche fiscali, ai paesi produttori, risorse che invece se disponibili, avrebbero reso assai meno indispensabili quegli aiuti internazionali per la costruzione, in quei paesi, di scuole ed ospedali.
Infine, e non è solo una nota di colore, facendo pagare le tasse laddove andrebbero pagate, forse eviteremmo anche la sorpresa di scoprire dalle statistiche sul commercio che una quota significativa delle importazioni di banane in Inghilterra venga dall'isola di Jersey, nel canale della manica (me le immagino le bananiere tutte alla fonda davanti a Saint Helier in attesa di essere stivate), e che Starbucks UK si approvigioni di caffè dalla Svizzera, una notizia che ha sorpreso non poco i cittadini britannici, ma sicuramente li ha sorpresi molto di più scoprire il modestissimo contributo al fisco britannico di Starbucks come di altre grandi multinazionali di successo...
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