27.10.12

Il costo del (quasi) made in Italy

Mi spiega Arbi, un ricercatore albanese, che le cose spesso non sono come sembrano. Recentemente il governo ha alzato il salario minimo. In Albania, come in molte parti del mondo (ma non in Italia) il salario minimo e' stabilito per legge. Detto per inciso e'un tema su cui i sindacati hanno posizioni differenziate nel mondo.

Diciamo che dove sono piu' forti ed i contratti valgono per tutti preferiscono essere loro a determinare i livelli delle retribuzioni. Comunque in Albania non vale nessuna delle due condizioni ed i lavoratori solitamente sanno che se hanno un lavoro regolare (e questo gia' restringe il campo) con tutta probabilita' sara' la legge a determinare quanto portano a casa.

Dicevo che il governo ha aumentato il salario minimo, e suggerisce Arbi che non e' per l'obbiettivo meritorio di combattere la poverta', ma per alzare le entrate fiscali. Il risultato e' che una parte del settore del tessile ha iniziato a licenziare: le fabbriche albanesi sono infatti solo uno dei passaggi del processo produttivo che produce per l'europa, e gestiscono solo la componente a maggiore intensita' di lavoro e minore valore aggiunto, ed i camiciai italiani per scegliere da chi fare attaccare bottoni o colletti scelgono in base al prezzo.

Adesso costano meno i terzisti macedoni, o montenegrini.

Ogni tanto penso che ogni prodotto dovrebbe contenere sull'etichetta, accanto alle notizie sul materiale e suggerimenti per il lavaggio, anche il percorso che tutte le parti che lo compongono fanno prima di finire assemblate in quell'oggetto che indossiamo o usiamo con piacere. Chissa' che non ci faccia ogni tanto anche pensare.

26.10.12

Circa parte due

Ne avevo parlato qua ed ecco la risposta: una bella correzione a penna, apportata sul cartello segnala come i minuti prima dell'apertura sono 60.

Dubito di avere alcun merito nella modifica, piu' facile pensare che in tempi di spending review avessero corretto solo il cartello presente sull'ultimo varco e non quello da me fotografato.

Ed i poliziotti si sono pure presentati 5 minuti prima dei 60 minuti indicati...

12.10.12

Circa

Il cartello e' chiaro: l'accesso ai gates per i voli area extra Schengen apre "circa" 90 minuti prima della partenza del volo: sostanzialmente il personale addetto al controllo dei passaporti prima non c'e'.

Erano le 8:00 di un giovedi' mattina ed il volo partiva alle 9:30, ma fino alle 8:25 del personale di frontiera manco l'ombra.

"Circa" parola di cinque lettere che forse sintetizza al meglio il succo dello spirtito organizzativo italiano.

5.10.12

11 anni di mancata riforma


Era il gennaio del 2001, in quelle settimane il parlamento, di cui era prossimo lo scioglimento, stava discutendo nel chiuso delle sue commissioni, quelle cui ci si rivolge quando si vuole essere certi di una approvazione rapida, la legge di riforma della cooperazione allo sviluppo. E pareva di potercela fare: dopo faticose mediazioni infatti sembrava fossero stati messi d'accordo tutti i soggetti che se ne occupavano: dalle associazioni alle organizzazioni non governative, dai ministeri, alla potente struttura del ministero degli Esteri.

Mi ricordo ancora quando venni a sapere che non se ne faceva di nulla: avevo accompagnato una delegazione alla UTL di Asmara e nel corso dell'incontro il responsabile ci segnalo' come era venuto meno l'accordo destinato a produrre la legge. In sostanza uno o piu' dei vari soggetti appena elencati aveva fatto qualche calcolo ed aveva ritenuto piu' conveniente scommettere sul parlamento e sul governo successivo, parlamento e governo che tutti erano abbastanza certi sarebbe stato di centro destra, dopo un quinquennio di governi di centrosinistra caratterizzata dalla litigiosita' dei componenti della coalizione.

Qualcuni mi sussurro' che fossero state le gerarchie vaticane a scommettere su un Berlusconi  attento ad una impostazione della cooperazione che prendesse piu' a cuore l'approccio al tema che da sempre ha avuto il mondo cattolico, un approccio molto centrato sulla tradizione dell'assistenza e con una grande enfasi sul lavoro di volontari caratterizzati da un forte spirito religioso, e che forse desideravano qualche cosa di diverso dalla proposta che stava emergendo, una proposta che aveva come elemento qualificante la formazione di una agenzia governativa addetta a dare un forte impulso  alle  attivita' di cooperazione, sulla falsa riga di quanto gia' avveniva (ed avviene) in altri paesi.

Ma forse era solo una illazione, ed altri furono gli affossatori dell'ultimo, fino ad oggi, tentativo di arrivare alla riforma del modo con cui l'Italia gestisce la cooperazione internazionale.

Ad esempio l'agenzia, con la sua maggiore indipendenza nella gestione delle risorse, non era probabilmente vista troppo di buon occhio da molti della Farnesina, e del resto non era un caso se nei primi articoli della legge 49/87 allora (ed ancora) vigente si sottolineasse come la cooperazione fosse parte integrante della politica estera del paese. E se parte integrante deve essere, e' comprensibile che  chi quella politica la fa, abbia il desiderio di controllarne la borsa e gli sviluppi sul campo.

E nonostante i tentativi di alcuni volenterosi (solitamente addetti ai lavori) che negli anni hanno provato a riproporre il tema, di legge della cooperazione non si e' piu' parlato molto in modo pubblico fino a pochi giorni fa, quando la questione e' tornata alla ribalta dopo il decennio di oblio cui lo avevano condannato la mancanza d'interesse nell'argomento da parte dei governi Berlusconi e delle sue maggioranze, e la vita turbolenta del secondo governo Prodi.

Oggi a leggere le cronache della preparazione alle giornate pare che molti dei nodi siano ancora quelli del 2001. Ed anche i tempi sembrano essere gli stessi ristrettissimi di quell'inverno di undici anni fa.

L'augurio e' che di quelle giornate rimanga molto piu' di un comunicato finale o la notizia che a volte anche Mario Monti ride.

Ed in piu', come fa notare Raffaella Chiodo Karpinsky commentando le giornate, restano ancora molti interrogativi...

4.10.12

Smartphone senza AppDiritti

-ci vorrebbe un sindacato! esclamo' la giovane impiegata della agenzia che mi stava aiutando a trovare una casa.

Ero arrivato da poco in quel paese e stavo cercando di capire un po' meglio dove mi trovassi. Certo la frase non era benaugurale considerato che il progetto su cui lavoravo aveva come partner proprio un sindacato. Insomma un partner apparentemente non troppo conosciuto, e tuttavia trovai assai interessante l'affermazione, sopratutto se confrontata con le molte lamentele per lo strapotere delle organizzazioni sindacali che ho sentito in questi anni in Italia, anche da soggetti che per formazione e cultura dovrebbero averne a cuore la forza.

 La verita' e' che un sindacato ci vorrebbe sempre, perche' chi ha poche altre armi ha bisogno della forza del numero per difendere i suoi diritti. Ogni tanto e' la cronaca a ricordarci come questo manchi ancora da molte parti del mondo. A rischio non ci sono solo gli iphone 5 prodotti in qualche fabbrica cinese (e magari neppure delle peggiori) ma l'idea che tutti abbiano diritto ad un lavoro dignitoso.