Da ragazzo giocavo a baseball. Non era stato difficile per me appassionarmi allo sport, complice una estata passata dai miei nonni paterni negli Stati Uniti ed un gruppo di cugini più o meno coetanei che lo giocavano, come ogni ragazzino statunitense che si rispettasse.
Appena più difficile trovare come continuare a giocarlo una volta rientrato a Firenze. Ma a questo ci pensò Roberto, uno dei miei compagni della 1A del liceo scientifico, anche lui appassionato dello sport, che non ricordo come aveva iniziato ad amare, forse da qualche film in televisione, e che aveva scoperto che a Firenze c'erano due o tre squadre giovanili e mi propose di entrare in quella che aveva contattato: il CUS Firenze.
Ed è così che per un paio d'anni mi trovai a giocare, con risultati modesti, come seconda base in una squadra che comunque qualche risultato lo raggiunse, fra cui la vittoria in un torneo interregionale dei giochi della gioventù, vittoria che ci consentì di partecipare alle finali a Parma dove poi rimediammo tutte le sconfitte possibili.
Ma il particolare che forse mi ricordo di più delle partite di quel torneo era che i dirigenti della squadra dovettero affrontare il problema della mia nazionalità: essendo all'epoca cittadino USA, per le regole vigenti non avrei potuto parteciparvi.
Risolsero il problema con una licenza di pesca: un documento che pare ai tempi venisse accettato sui campi da gioco (per le squadre giovanili) e che però non riportava la nazionalità (o forse la riportava ma chi le emetteva non andava troppo a controllare).
Erano i primi anni '70 del secolo scorso e mi immagino che oggi le cose siano un po' diverse, e tuttavia quella questione mi torna in mente spesso quando sento parlare di cittadinanze ed identità legate a bambini e ragazzi nati e cresciuti in Italia.
Perché oggi le classi sono com'è noto ben più piene di ragazzi con documenti di identità diversi, e quella che era una eccezione che io vivevo a volte con un po' di imbarazzo, oggi è una delle realtà della scuola, e mi immagino che per un insegnante anche solo organizzare una gita scolastica possa diventare un incubo per la necesstà di districarsi fra permessi, documenti di viaggio e c.,
Per non parlare di cose più prosaicamente economiche, ma non meno gravi sul piano della vita di una classe, come faceva notare solo un paio di anni fa una interrogazione al Senato italiano, relativa ad un episodio avvenuto per la visita di una classe al Vasariano "percorso del Principe" di Firenze.
Mi immagino che per ogni Balotelli, ci siano altre centinaia di ragazzini e ragazzine che fanno sport nel nostro paese per le quali l'unica differenza, rispetto ai loro coetanei sia data da quel documento di cittadinanza italiana.
E non è più sufficente una licenza di pesca.
Si è cittadini perché ci si è nutriti di una lingua, si è frequentata una scuola, si sono vissute le passioni e le emozioni di una collettività.
E le società che vanno avanti sono quelle che sanno preparare il futuro ai figli, e non quelle che distribuiscono i diritti in base al sangue dei nonni.
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