Qualche giorno fa i giornali hanno riferito della iniziativa della sanità lombarda di comunicare ai malati ricoverati, al momento della dimissione, il costo delle prestazioni effettuate.
Sui giornali e sui social network le prese di posizione sono state assai contrastanti, da quelle più favorevoli a quelle invece assolutamente contrarie, come quella dell'ordine dei medici che hanno definito l'inziativa "esecrabile ed umiliante".
Nella lettura degli interventi l'impressione è che in molti casi più che della iniziativa in se, quello che veniva discusso era la sanità lombarda ed in particolare il presidente della Regione Formigoni, che notoriamente non è simpatico a tanti. E' questo un problema presente in molti dibattiti: anziché attenersi al tema specifico si parla di quello che si ha più a cuore e che assimiglia di più all'argomento in discussione.
La questione è se è giusto che ognuno di noi conosca il peso e il valore dei servizi che ci vengono erogati. Perché è indiscutibile che hanno un valore economico, a parte quello inestimabile della salute.
Insomma un cittadino che si lamenta, e a volte a ragione, della scarsa qualità dei servizi forniti a fronte delle tasse pagate (e questa cifra più o meno la conosciamo), ha il diritto di sapere anche il costo di questi servizi?
In sostanza la domanda è se è giusto "monetizzare" parti della nostra vita, come la cultura, l'istruzione o la salute che non vorremmo mai avessero un valore venale?
E tuttavia cultura, istruzione e salute hanno dei costi, e temo che non conoscerli sia probabilmente uno degli aspetti di una visione paternalistica della società, con da una parte amministratori e tecnici che gestiscono la borsa, e dall'altra la comunità dei beneficiari.
Ma a monte c'è probabilmente la necessità di capire cosa significa appartenere ad una comunità di persone. Un elemento che ha i suoi aspetti "alti" e gli elementi anche più utilitaristici del "do e pertanto ricevo". Sapere di far parte di una comunità è infati un elemento importante per la coesione sociale.
In effetti se si ripercorre la storia europea del welfare state, è possibile rilevare come si sia sviluppato nel pensiero politico degli ultimi anni il principio che il pubblico deve fare sempre meno perché "i privati fanno meglio", per cui si al pubblico si riserva via via il compito di occuparsi delle fasce più povere, oppure si introduce il principio della progressione nel pagamento dei servizi.
In un articolo apparso qualche settimana fa sul british medical journal intitolato "The assault on universalism: how to destroy the welfare state" gli articolisti invece fanno notare come la gratuità ed universalità di un nucleo di servizi sia funzionale alla coesione sociale: ad un certo punto infatti chi si trova a pagare attraverso la fiscalità per servizi di cui non usufruisce o per cui deve pagare, si chiede per quale motivo debba partecipare alle spese.
E' quello che succede laddove ad esempio il sistema sanitario negli USA è finanziato in gran parte dalle assicurazioni private. In effetti il dibattito sul costo del segmento pubblico è in quel paese accesissimo appunto perché il sistema è finanziato da tutti ma solo una parte, la più povera ne è beneficiaria.
Insomma, personalmente non mi dispiace sapere quanto costo allo sistema sanitario, anzi, credo che mi sia utile a capire che l'appartenenza ad una comunità ha i suoi vantaggi, e sopratutto a ricordarmi che i soldi spesi sono soldi di tutti, e che pertanto vanno usati con cura, e che sopratutto mi fanno sentire orgoglioso di appartenere ad una società che pensa sia giusto spenderli per me, come per chiunque altro appartenga alla mia comunità che ne abbia bisogno, a prescindere da stato sociale, origine e convinzioni.
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