24.1.12

Equità e diseguaglianze


"Molto prima che la recessione colpisse, il duro lavoro aveva smesso di pagare per troppe persone. Sempre meno delle persone che avevano contribuito al successo della nostra economia effettivamente beneficiavano da questo successo. Quelli in cima divenivano più ricchi con i loro investimenti -- più ricchi di sempre. Ma tutti gli altri combattevano con costi crescenti e stipendi che rimanevano fermi -- e troppe famiglie si sono trovate ad accumulare sempre più debiti solo per mantenere il passo." 

Non sono le parole di uno dei tanti manifestanti del movimento Occupy Wall Street, ne l'opinione di qualche dirigente sindacale di qualcuna delle sigle sindacali a suo tempo indicate dalla stampa italiana come pericolosamente sovversive per l'economia nazionale. Sono parole contenute in un discorso del presidente degli Stati Uniti Barack Obama solo qualche settimana fa, ad Osawatomie, nel Kansas. 

E non vi è dubbio che il tema del divario fra una minoranza sempre più ricca ed una stragrande maggioranza che arranca sempre più per mantenere un livello di vita accettabile è sempre più presente nel dibattito politico. Per non parlare delle riflessioni che vengono spesso fatte su chi non ce la fa proprio a tenere il passo. 

Nel mio piccolo ne parlavo qua già parecchi mesi fa, ma voci assai più autorevoli si sono espresse in queste settimane per una maggiore equità sociale.

Tuttavia vi è qualche cosa che non torna nei molti commenti che sento. Non si capisce come si intenderebbe ridurre le diseguaglianze. Mi rendo conto che non è molto popolare con le classi dirigenti, ma una delle frasi ricorrenti, quella che ricorda come occorra la crescita, è monca, perché il problema non è solo la crescita. Non sono un economista ma se la matematica non è una opinione ad una economia non è sufficente crescere per garantire più equità: occorre anche che il reddito aggiuntivo prodotto sia distribuito maggiormente a favore di chi sta più indietro, altrimenti le diseguaglianze relative cresceranno, esattamente come è accaduto in questi anni

E se poi le economie non crescono come ridurre le diseguaglianze? La domanda non è inutile considerato che per l'Italia il futuro pare tutt'altro che roseo. La strada maestra dei sistemi democratici è sempre stata la redistribuzione tramite la progressività delle tasse e la tassazione pesante delle fonti di rendita non da lavoro (un esempio classico sono le tasse di successione). 

Esattamente l'opposto di quanto è stato fatto in questi anni. 

Insomma, la prossima volta che sentiamo qualcuno parlare di ridurre le diseguaglianze chiediamogli di proporre anche come. Magari non sarà utile a scoprire ricette magiche ma ci consentirà di capire chi ne parla perché di moda e chi si pone seriamente il problema. 

18.1.12

l'eroismo del dovere

"Torni a bordo di quella nave, cazzo" è la frase che nella sua sinteticità raccoglie il senso delle lunghe telefonate fra la guardia costiera di Livorno ed il comandante della Costa Concordia.

Non c'è molto da aggiungere ai molti commenti già fatti su come gli interlocutori in quella telefonata rappresentino il meglio ed il peggio dell'Italia.

Nelle voce del comandante della nave si riconoscono tutti i personaggi dell'italiano vigliacchetto, furbino e pauroso, spesso rappresentati da Alberto Sordi, senza il riscatto finale che ha volte la storia del cinema ci ha consegnato, come in quel capolavoro che è "la grande guerra".

Nelle parole del capitano della guardia costiera l'impegno dei tanti che in Italia fanno semplicemente il loro dovere, come ha tenuto a ricordare in una intervista colui che in poche ore è diventato per molti un eroe.

E' forse questo il commento più amaro che viene da fare: nel nostro paese troppo spesso viene considerato un atto d'eroismo compiere il proprio dovere.

E quello che è più scoraggiante è che nella nostra storia sono troppe le circostanze in cui lo è stato per davvero.

17.1.12

I germi interclassisti

"Perché pagare per la salute dei poveracci?" è la domanda che spesso è stata ripetuta in questi anni, anche se a volte in modo più sfumato, tutte le volte che emergeva come il servizio sanitario curava anche clandestini e c.
Del resto l'illusione che una buona assicurazione renda tutto molto più semplice ed efficiente ha innervato per decenni il dibattito politico USA. Poi le notizie a ricordarci che le malattie si diffondono a prescindere dalle polizze assicurative. 

Certo i 12 malati di TBC in India vengono probabilmente dalle zone più povere della città, perché la TBC è una delle malattie della povertà, a Mumbay come a Nairobi o Città del Messico, e tuttavia è una malattia che si diffonde per via aerea, si può prendere dal nostro vicino in metropolitana, o per strada o chissà in quale altro luogo pubblico che ci troviamo a frequentare. 

Non è un caso se negli anni la lotta alla TBC sia stata una priorità di tutti i programmi sanitari pubblici: le principali vittime sono i poveri, ma il germe non disdegna colpire anche gli altri. Meglio quindi curare e prevenire che sperare nella bontà delle assicurazioni.     

16.1.12

Sudafrica andata e ritorno

8 Gennaio 2012 - Mangaung 
Il volo che porta dall'europa a Johannesburg dura più di dieci ore, il mio ha richiesto molto più tempo: era stato Marcus ad accompagnarmi all'aereoporto a fine giugno del 2000, ed era stato un arrivederci, pensavo infatti di ritornare non appena l'organizzazione per cui lavoravo avesse ottenuto l'ultima tranche di finanziamenti.

Non è stato così. Con alcune delle persone con cui avevo lavorato sono rimasto in contatto, altri li ho persi di vista, altri non sono più.

 Il 7 gennaio scorso sono finalmente riuscito a tornare, anche se per pochi giorni, in occasione della cerimonia per il centenario della ANC, prevista per l'8 gennaio nella città dove 100 anni prima era nato il primo e più antico movimento politico dell'Africa avente al suo centro il tema dei diritti degli africani, una nascita che predata di molti anni la straordinaria stagione della fine dei regimi coloniali del continente.

Ritornare dopo tanto tempo consente di vedere con nitidezza i cambiamenti avvenuti come provare a valutare quanto invece sia rimasto apparentemente immobile.

Misurare i progressi ed ipotizzare le occasioni perdute. Perché la realtà è sempre assai diversa da quelle speranze che avevano portato milioni di sudafricani a mettersi in fila per votare il 27 Aprile del 1994.

27 Aprile 1994 - coda ai seggi
Qualcuno ha detto che per l'ANC la liberazione era stata raggiunta in poesia mentre governare si era dimostrata prosa

Sono le cose di cui ho parlato nei cinque giorni passati sotto al tropico del capricorno con un po' tutte le persone che ho incontrato, che mi hanno raccontato la fatica del sogno, le durezze della quotidianità, le speranze per il futuro. 

Difficile fare una valutazione obbiettiva ed oggettiva. Sicuramente il paese non si è avvitato in una spirale di violenza e malamministrazione, come preconizzavano in tanti della vecchia guardia bianca negli anni della transizione dal regime dell'apartheid al governo Mandela. 

E tuttavia è certo che le diseguaglianze sono cresciute, che accanto ad una emergente borghesia e classe dirigente nera, che si è affiancata a quella bianca, sono rimaste le povertà rurali, la disoccupazione, le marginalità. E non si sa quali potrebbero essere le conseguenze se il governo non fosse più in grado di mantenere il sistema di assegni sociali che al momento raggiungono 12,000,000 di cittadini. 

Il paese si sta infatti deindustrializzando, concentrando sempre più la produzione nel settore minerario, riducendo le opportunità per l'enorme parte della forza lavoro non qualificata, ed il sistema educativo non pare capace di ridurre significativamente questa massa di lavoratori a bassa qualificazione. 

Vecchie questioni continuano a riemergere, questioni che rimandano alla storia del paese, alla storia delle scelte effettuate 100 anni fa quando sostanzialmente la popolazione nera fu privata del diritto di possedere terra, bloccando qualsiasi possibilità di sviluppo di una imprenditoria africana. 

E il paese arcobaleno pare ancora non riuscire a fornire una nuova tavolozza al futuro. Lo slogan delle celebrazioni è "Unità nella diversità", il timore è che sottolineando troppo le diversità venga meno la sensazione ed il desiderio di un destino comune, anzi, il desiderio di un paese dove tutti siano solo cittadini. 

Perché credo ci sia la voglia e la necessità di un paese dove le diversità non siano date dalla pelle o da quella versione soft del razzismo che è la sottolineatura delle differenze "culturali", ma dall'esistenza di una molteplicità di individualità, in grado di condividere passioni, speranze e valori. 

Che questo accada è il mio augurio per il centenario della ANC, ed è il mio augurio ai molti amici che ho in Sudafrica.

14.1.12

Sensibilità diverse

Qualche giorno fa a Pretoria (Sudafrica) ad una donna è stato impedito di entrare in un McDonald assieme al suo cane.

A poco è servito spiegare che la donna era non vedente ed il cane la sua guida.

Pochi giorni prima in Sudafrica era partita la campagna pubblicitaria di una catena concorrente che mostrava i volti di alcuni non vedenti che "leggevano" i loro hamburger su cui era stato scritto in braille con semi di sesamo.

4.1.12

Fare il pieno al caccia

Ogni tanto i mig volavano sul cielo di Asmara, e per la piccola comunità straniera questo evento aveva sovente un che di sinistro.

Oramai era qualche anno che era divenuto difficile capire cosa succedesse nel paese, ne era d'aiuto l'unico giornale in lingua inglese pubblicato tre volte alla settimana dal ministero dell'informazione e che si limitava a riportare i comunicati ufficiali del governo.

Per questo ogni segno di attività militare faceva temere una ripresa possibile di quella guerra che aveva insanguinati i confini del paese solo pochissimi anni prima.

Andando a Massawa accadeva di vedere all'improvviso sorgere un accampamento militare a Ghatelai, qualche decina di kilometri passato Dogali e poco prima che la strada si inerpicasse per Asmara: erano accampamenti transitori eretti ad ogni avvicendamento di truppe fra l'altopiano centrale ed il bassopiano orientale, eppure più di una volta qualcuno pensava che il momento fosse arrivato, magari sorretto nella convinzione dal fatto che riapparivano i posti di blocco militari lungo quella che era la più importante strada del paese.

Volavano i Mig, ed era particolarmente spiazzante vederli sfrecciare mentre il governo razionava carburante ed elettricità, farina e bevande, e quando a volte l'unico modo per ubriacarsi era qualche giro di arechì, un distillato al gusto di anice i cui ingredienti parevano non scarseggiare mai. 

Un giorno feci una ricerca per provare a capire perché in mezzo a tante ristrettezze continuavano a volare i Mig, e scoprì che probabilmente non era volontà di far vedere i muscoli, o almeno non era solo quella: pilotare un aereo da combattimento non è come andare in bicicletta, che una volta appreso non si dimentica più: i piloti debbono effettuare ogni anno un certo numero di ore di volo su quell'aereo, tutti i piloti, anche quel gruppo di ucraini che erano arrivati assieme ai mig per fare gli istruttori e che conoscevano a menadito l'apparecchio.

Ed è un costo notevole, non solo perché un aereo da guerra consuma, ma anche perché un aereo si consuma, e dopo un tot di ore ci sono pezzi che vanno sostituiti.

Ci pensavo in questi giorni leggendo qui e qui dei 131 F35 da combattimento ordinati dall'esercito italiano. Non sono soltanto i 15 miliardi di prezzo di acquisto a doverci impensierire, è tutto il resto, dall'addestramento dei piloti, ai pezzi di ricambio, al carburante.

il Parliamentary Budget Officer canadese ha stimato i costi di acquisizione e gestione degli apparecchi, e secondo le loro proiezioni il costo di acquisto è solo un terzo del costo complessivo di gestione. Insomma quello di cui si sta discutendo non è un impegno da 15 miliardi di euro ma da 45.

Siamo un paese in cui non si trovano i soldi per la benzina ed i ricambi delle auto della polizia, davvero vogliamo concederci il lusso di 131 caccia di ultima generazione? mi pare un lusso inutile per un paese che ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.