"Ma loro non hanno mica bisogno!" ha esclamato una conoscente alla notizia della mia partenza per Tirana per un progetto di cooperazione.
E' possibile che quella frase sia stata motivata più da qualche fastidio o pregiudizio, ahimé diffuso, per le persone venute dall'est, che dalla conoscenza del paese; non penso infatti che siano molte le persone della strada che compulsano abitualmente le statistiche sullo sviluppo, quelle statistiche che posizionano l'Albania in una posizione assai migliore dei paesi dove ho operato negli anni passati.
Tuttavia la frase mi ha colpito e provo a dire come la penso.
Certo che se riteniamo che la cooperazione sia una forma moderna e laica di carità, o una versione più organizzata del principio della buona azione quotidiana, ha ragione la mia conoscente: sono ben più a sud le necessità maggiori, e quanto ci sarebbe da lavorare per vincere quelle povertà.
E non vi sono dubbi che una passeggiata per Nairobi, o Johannesburg, oltre ad essere potenzialmente assai più rischiosa, offre una immagine urbana assai diversa di quella che produono quattro passi per Tirana, con le sue vetrine ed i suoi caffé con i tavolini sulla strada.
E tuttavia i segni inequivocabili delle diseguaglianze sono immediatamente percepibili, già dai marciapiedi affollati di venditori improvvisati di ogni cosa, dai libri più vari ad oggetti della cui provenienza a volte è lecito dubitare.
E poi i mercatini improvvisati di verdure, con anziane contadine incartapecorite dal sole, che vendono i loro prodotti, ed il cui fazzoletto bianco sulla testa indica la provenienza dalla campagna e forse da un altro tempo. Quei contadini a cui il governo post comunista aveva dato le terre, fino ad allora di proprietà dello stato, troppo felice di poter con un tratto di penna trasformarli in piccoli imprenditori e toglierli dalle statistiche sulla disoccupazione.
Quei contadini la cui vita è cambiata poco, salvo che per i fortunati della periferia di una Tirana in espansione, che hanno beneficiato di qualche briciola del boom edilizio.
E poi qualche bambino che dorme per strada, spesso non escluso dalla povertà o almeno non solo, come le decine di migliaia di Addis o di Nairobi, ma dall'appartenenza alla minoranza rom.
E ogni tanto le scene comuni a tanta parte del mondo, di uomini coperti di stracci che rimestano nei cassonetti della spazzatura alla ricerca di qualche cosa di riciclabile, magari le tante lattine che una società modestamente opulenta riesce a produrre.
Tuttavia non è per questo, o almeno non è solo per questo che anche loro hanno bisogno, o forse sarebbe meglio dire, non è perché hanno bisogno che è importante esserci.
E' perché noi abbiamo bisogno.
Abbiamo bisogno di sapere che il mondo non finisce alla periferia della città in cui abitiamo. Abbiamo la necessità di sapere che molte delle cose che facciamo influiscono sulla vita degli altri, così come molte delle cose che ci interessano sovente nascono al di la del mare.
L'altro giorno una persona cui chiedevo dell'economia del paese mi confessava di come temesse che le statistiche ufficiali fossero truccate: e in fondo non sarebbe il primo paese a nascondere i dati reali per guadagnare l'ammissione nella comunità europea.
Ma sopratutto mi raccontava delle molte persone che sono state espulse dai paesi di emigrazione dalla crisi, ad esempio erano decine di migliaia gli albanesi emigrati in Grecia, e molti sono dovuti tornare, magari costretti ad investire, per garantirsi un futuro, i risparmi di una vita in una piccola attività commerciale a Tirana, e non è detto che gli sia andata bene.
Ma sopratutto mi raccontava delle molte persone che sono state espulse dai paesi di emigrazione dalla crisi, ad esempio erano decine di migliaia gli albanesi emigrati in Grecia, e molti sono dovuti tornare, magari costretti ad investire, per garantirsi un futuro, i risparmi di una vita in una piccola attività commerciale a Tirana, e non è detto che gli sia andata bene.
E mi raccontava dei molti albanesi rientrati dall'Italia, e della sfida per trovare modo anche a lori di reinserirsi nel loro paese. Mi raccontava ad esempio di un progetto della Caritas e delle ACLI che nel nord del paese lavora per questo.
Piccoli esempi per capire come siamo legati, perché sono anche nostre le crisi che muovono le persone attraverso i confini. Piccoli esempi che spiegano la necessità di cooperazione.
Mi vengono in mente quelle parole di don Milani così spesso citate e assai meno praticate: "Risolvere i problemi individualmente è egoismo, risolverli insieme è politica".
Quanto bisogno abbiamo oggi di quella politica, e quanto poco attenti ai confini sono i nostri problemi.
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