Fino a qualche tempo fa nei dibattiti televisivi italiani non era raro imbattersi in qualche commentatore che disquisiva sull'importanza della leadership carismatica nelle democrazie moderne.
Questi commentatori sostenevano che le leadership carismatiche, suffragate da risultati elettorali o dai sondaggi, evidenziavano come la democrazia avesse trovato la sua dimensione più moderna in una pratica che, riducendo il ruolo di partiti e degli altri soggetti, trovava nel "capo" la sua modalità migliore di funzionamento. E guai a non avere il leader carismatico.
A corollario di questo poi l'appello a "lasciar lavorare il capo" ed il fastidio per tutti i soggetti che potessero in qualche modo rallentarne l'operato.
E' una passione antica quella per il capo, una passione antica che riaffiora di quando in quando ed a tutte le latitudini. In Italia è possibile che per qualche tempo verrà sopita, almeno a giudicare dai sussulti delle ultime settimane del governo Berlusconi.
Ma non è di Berlusconi che voglio parlare, ma delle tante volte in cui ci affidiamo al monarca, speranzosi che nella sua saggezza ci porterà fuori dalla palude, o ci farà sognare, o ci farà sentire migliori.
Voglio partire da due cifre: 850 milioni di dollari e 1.8 miliardi di dollari. La prima corrisponde più o meno al bilancio di esercizio dell'organizzazione mondiale della sanità, la seconda a quello della Bill & Melinda Gates Foundation.
L'organizzazione mondiale della sanità (WHO) è una grande struttura delle nazioni unite. E' una tecnosruttura fatta di funzionari, specialisti, e anche politici, ed è una struttura che si deve confrontare con la politica, nel suo caso rappresentata dagli stati membri delle Nazioni Unite.
Non vi è dubbio che quanto detto sopra può condizionare le priorità d'intervento, e tuttavia garantisce che ci sia un legame fra le priorità dell'organizzazione e quelle dei rappresentanti dei vari paesi (si potrebbe disquisire sulla effettiva rappresentatività delle volontà popolari da parte dei governi dei vari paesi, ma è un'altra questione, che ci porterebbe lontano).
La Bill & Melinda Gates Foundation invece è una grande fondazione privata che opera nel mondo della sanità, secondo alcune aree prioritarie di intervento, che la vedono finanziare istituti di ricerca, pubblicazioni scientifiche, programmi universitari, e progetti sul campo. Come abbiamo visto il suo budget operativo è più del doppio di quello della organizzazione mondiale della sanità.
Ovviamente la fondazione ha un comitato scientifico di altissimo livello, e le scelte sono scelte solide dal punto di vista scientifico, e non vi è dubbio che il modello operativo, associato alla quantità di denaro messo in circolo, abbia riattivato molto il mondo degli interventi nel mondo della sanità nei paesi in via di sviluppo.
In particolare la struttura, composta da pochi centri decisionali, è assai agile ed in grado di intervenire rapidamente.
Tuttavia proprio per le sue caratteristiche operative che la rendono così efficiente c'è da chiedersi se vada proprio tutto bene: se lo chiedono ad esempio Laura Freschi e Alanna Shaikh in un articolo uscito qualche mese fa.
In un passaggio ad un certo punto, dopo aver elencato i molti meriti dell'attivismo dei Gates, l'articolo sottolinea come in futuro potrebbe ad esempio capitarci di leggere di un progetto finanziato dalla fondazione, su un giornale le cui pagine sulla medicina nei paesi in via di sviluppo sono finanziate dalla fondazione, scritto da un giornalista che ha studiato con una borsa di studio dell fondazione, utilizzando dati di qualche ricerca della fondazione...
E se la storia fosse più complessa della voglia di raccontare i successi che caratterizzano spesso questi articoli?
Il caso delle Melinda & Bill Gates è ovviamente particolarmente eclatante, ma viene da chiedersi quanti interventi in giro per il mondo sono fatti perché ritenuti i più giusti dal finanziatore illuminato. E insomma, questa fiducia nei filantropi non ci priva del diritto di discutere, obiettare e contribuire al benessere dei nostri paesi?
E poi c'è quello che viene chiamato "halo effect", l'effetto alone, quell'effetto che ci fa pensare che qualcuno particolarmente bravo in una cosa, sia il migliore anche in tante altre. Siamo davvero sicuri che le qualità che hanno consentito a questo o quell'altro filantropo di primeggiare nel campo in cui hanno ammassato le loro fortune, siano le stesse necessarie per garantire lo sviluppo di società diversissime fra loro?
In politica la dimostrazione che un imprenditore di successo non necessariamente è anche un buon governante la stiamo vivendo in questi giorni in Italia; non vorrei viverne di analoghe anche nel mondo degli interventi per lo sviluppo.
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