Capita in questi tempi di rivoluzioni arabe di sentire ogni tanto qualche voce dissonante, che con il tono di chi la sa lunga, racconta dei molteplici intrighi che hanno favorito qua e la le esplosioni di rabbia nei paesi arabi.
La tesi che viene sostenuta, con dovizia di dettagli, è quella della rivoluzione "pilotata" dagli interessi volta volta di USA, Francia, Gran Bretagna, quando non Arabia Saudita, al Jazeera o i cartelli petroliferi medio orientali.
E' una tesi particolarmente cara a chi si oppone alla guerra in Libia, quasi che individuare un sinistro agente esterno renda più facile capire cosa fare per far terminare il massacro.
Purtroppo non è così, perché a spiegare cosa sta avvenendo non è sufficiente trovare chi beneficia da un conflitto, o scoprire che i servizi di questa o quella potenza oggi impegnate in prima persona, ieri lavoravano dietro le quinte. Non è sufficiente perché ad esempio non spiega affatto come mai nel caso della Libia, dove erano probabilmente decenni che qualcuno ci provava, la rivolta è scoppiata solo ora.
E lo stesso si può dire per Egitto, Tunisia, Siria, Iran. La realtà è che l'attore principale delle rivolte non sono i servizi segreti, o le trame ed interessi dei signori delle materie prime, ma sono le persone che scendono in piazza, o che innalzano le barricate. Ed i motivi principali per cui scendono in piazza hanno spesso poco a che vedere con le trame di cui sopra, che pure probabilmente esistono, ma molto con la miscela che si produce quando le condizioni di vita diventano intollerabili e nella società circola sempre più insistemente l'idea che ribellarsi non solo è giusto, ma anche possibile, e che vincere si può.
Ridurre tutto al gioco dei servizi e degli interessi di questa o quella potenza o gruppo di pressione è piuttosto meschino e pure rischioso in quanto capire i molti perché di una rivolta popolare è essenziale a trovare possibili soluzioni.
Ma forse accade perché è complicato orientarsi nella babele di istanze e aspirazioni di un popolo in rivolta. Un magma dove convivono persone provenienti da ceti diversi, con aspirazioni, culture, sogni ed obiettivi anche contradditori. Dove accanto all'icona di Che Guevara sfila la ragazza con il velo, dove con Ghandi convive la mitologia dell'AK47. Troppo più facile sperare in qualche cosa che riduca tutto a qualche cosa di più leggibile: la CIA, un generale, un predicatore o un guerrigliero carismatico.
Non è dato, ed eccoci qua costretti a districarci fra twitter e muezzin, tra istanze tribali e giovani appassionati di rap, senza nemmeno le certezze che venivano dalle passate illusioni che la colpa fosse sempre di pochi e il futuro appartenesse alla nostra moltitudine.
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