16 anni fa sull'Unità Adriano Sofri scrisse: "Una sinistra che stia dalla parte del pronto soccorso, del diritto e della libertà, dovrebbe incatenarsi nelle piazze, non per accettare, ma per rivendicare l'impiego della forza Onu e Nato contro le bande serbo-bosniache, a difesa dei cittadini bosniaci e della Repubblica di Bosnia-Erzegovina."
Una posizione chiara e che riassumeva bene il pensiero di molti che in quei mesi stavano assistendo alla carneficina nei Balcani ,introducendo nella discussione politica di quegli anni un tema che era un tabù per una parte significativa della sinistra italiana: il tema della "guerra giusta", con l'aggiunta che dalla parte giusta doveva starci la NATO di cui solo quindici anni prima molti chiedevano, Sofri in testa, la chiusura delle basi in Italia.
In realtà Sofri presentava alla discussione italiana un tema che oramai da qualche tempo assillava chi guardava con appena un po' di compassione alle tragedie che si stavano svolgendo al di la dall'Adriatico, o in Africa, o in qualche altra disperata parte del mondo.
Il tema della guerra per nobili fini: la guerra umanitaria. E' un dilemma che data lontano, come racconta il giornalista David Rieff nel suo "A Bed for the Night: Humanitarianism in Crisis", che gli operatori umanitari si ponevano forse sin dai tempi della secessione del Biafra del 1967, cui poi sono seguiti per citare i casi più noti Somalia, Rwanda, ed appunto i Balcani.
Il dilemma se stare a guardare o intervenire, sapendo che in ambedue i casi è possibile essere parte più del problema che della soluzione.
Per non parlare del fatto che realpolitik ed interessi materiali fanno, di ogni potenziale "catastrofe umanitaria" (per usare il linguaggio delle Nazioni Unite), un caso a se, in ragione di risorse, alleanze, e vicinanza alle nostre frontiere.
Per cui palpitiamo per Sarajevo o Tripoli e seguiamo più distratti le carneficine in Cecenia.
Ma depurati di tutti gli interessi meno nobili, cosa chiedere al nostro governo? E' la domanda che ancora una volta ci poniamo in questi giorni in cui non sappiamo se abbiamo davanti la prospettiva di una guerra civile in Libia o se stiamo per assistere ad una repressione nel sangue della insurrezione popolare dei giorni scorsi. Ed allora dobbiamo anche noi riprendere le parole di Sofri di qualche anno fa adattandole al contesto?
Purtroppo non ho certezze anzi, e sopratutto mi pare che ancora una volta il tema sia posto male. Davvero la decisione o meno dell'intervento la dobbiamo prendere sulla base delle nostre valutazioni in merito alla crisi? Mi ha colpito molto una trasmissione di qualche giorno fa su Radiopopolare in cui si chiedeva agli ascoltatori provenienti da quei paese se a loro avviso fosse un bene l'intervento Nato di cui si stava iniziando a parlare in quelle ore. La quasi totalità delle risposte era negativa. Da chi diceva che i libici ce l'avrebbero fatta a trovare una soluzione magari portando vittoriosamente a termine l'insurrezione, a chi auspicava un intervento della lega araba o della Turchia, la maggioranza delle risposte sostanzialmente diceva che l'intervento Nato sarebbe stato appunto parte del problema più che una soluzione.
Certo si trattava solo di un campione di ascoltatori e neppure troppo rappresentativo, ma anche le opinioni espresse in queste settimane da molti commentatori del mondo arabo vanno nella medesima direzione.
E se la domanda fosse mal posta? se il tema non è se intervenire o no, ma scegliersi gli interlocutori più rappresentativi di quei paesi ed individuare la strategia che quegl'interlocutori ritengono più adatta ad una soluzione della crisi, magari quella che comporta meno vittime?
Insomma considerare la Libia non l'ulteriore palcoscenico su cui esercitare ancora una volta il copione un po' trito dell'"arrivano i nostri", ma un paese che comunque vadano le cose dovrà avere una classe dirigente capace di rappresentare le aspirazioni del suo popolo, ed allora è bene che sia questa classe dirigente ad orientare sin da ora le nostre azioni.
A di la di questo approccio vedo solo indignazione a buon mercato e tanto interventismo interessato.
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