Le vicende della FIAT di queste settimane, come accade da decenni in Italia, hanno mobilitato commenti e prese di posizione di ogni genere, molte delle quali più che soffermarsi sul merito della vicenda, hanno preferito commentare il valore simbolico della questione.
E del resto come sempre accade nelle vicende FIAT questo aspetto simbolico è ben sintetizzato dalle caratteristiche dei protagonisti: da una parte il campione del capitalismo del XXI secolo, il turbomanager Marchionne, con i suoi interlocutori sindacali della CISL e della UIL, e dall'altra la FIOM, simbolo di una stagione passata del sindacalismo, spesso descritta come una organizzazione prigioniera dei suoi dogmi ed incapace di capire la modernità.
E tuttavia quando si assumono vicende come simboli, si rischia di incorrere sempre in semplificazioni che possono portare ad una descrizione distorta della realtà.
Nel caso specifico i sostenitori più accaniti del nuovo corso di Mirafiori, a supporto delle tesi a favore, portano il fatto che sacrifici ben più pesanti di quelli chiesti a Torino, erano stati chiesti ed ottenuti dal sindacato statunitense nella trattativa che aveva portato alla salvezza della azienda. Insomma, moderni i sindacati americani che accettano sacrifici pesantissimi pur di salvare la fabbrica dai colpi della globalizzazione, di visione corta quando non in malafede perché con una agenda "politica" coloro che si oppongono alle richieste di Marchionnei a Mirafiori. Ed anche sulla dibatttuta questione della sostanziale estromissione della FIOM dalla rappresentanza in fabbrica, i commentatori i più informati dicono che negli USA si fa così e che questa è la modernità delle relazioni sindacali.
Personalmente non so come mi sarei comportato fossi stato uno dei delegati chiamati a trattare con Marchionne, e trovo abbastanza inutili quando non fastidiose le dichiarazioni a favore o contro alla firma fatte dal salotto di casa. Credo che al referendum in cui verrà ratificato o respinto l'accordo gli interessati voteranno basandosi sulla materialità della loro vita quotidiana e non su valutazione più o meno astratte sulle sfide della modernità, ed ancor meno conteranno i vari "io avrei votato si" - "io avrei votato no" dell'interpellato di turno. E così sarà anche quando gli iscritti si troveranno a decidere se rinnovare la fiducia o meno ai loro rappresentanti.
Come ho detto la vicenda ha un valore simbolico e su questo molto è stato scritto e molto è stato detto. E tuttavia mi pare di notare che molti di questi commenti hanno una caratteristica tipica del provincialismo dell'approccio italiano ai problemi globali: non essendo capaci di proporre una nostra soluzione ci si nasconde dietro ad un "a Washington, (o a Parigi, o a Londra) si fa così, noi siamo arretrati", dimenticandosi quanto di diverso ci sia nella soluzione di ognuna di quelle capitali, perché i problemi globali in un contesto locale generano problemi locali, e come tali vanno affrontati.
Nel caso in questione: l'appoggio dei sindacati americani alla strategia Marchionne negli Usa ed a Mirafiori non nasce dalla necessità di preparare la fabbrica alle sfide del nuovo decennio e della globalizzazione, ma da una considerazione molto più materiale: per molti anni i sindacati USA della grande industria avevano sostenuto una strategia di moderazione salariale in cambio di sicurezze sul fronte pensionistiche e sanitarie garantite dalle imprese, quelle stesse garanzie che in Europa vengono assicurate più o meno bene dal sistema pubblico.
Questa strategia accanto ad una certa moderazione sindacale ha consentito lo sviluppo di un sistema finanziario potentissimo, dove i fondi pensione svolgono un ruolo rilevante nel finanziamento delle imprese, trasformando queste ultime in quelle "public companies" di cui spesso si è parlato in questi anni contrapponenole al nostro asfittico capitalismo familiare.
Un sistema fortissimo ma con un punto debole: la salute e la pensione dei lavoratori è strettamente connesso al futuro delle aziende dove lavorano. Un sistema che ha i suoi costi anche per il sistema industriale: una parte significativa nelle crisi di Chrysler, General Motors e c. l'hanno rivestita i debiti nei confronti dei fondi pensionistici dei loro dipendenti.
Ed allora è abbastanza chiara la posta in gioco per i sindacati americani: trattando con Marchionne non discutevano solo del loro futuro di lavoratori, ma anche di quanto teoricamente già accantonato per la pensione oltre che delle pensioni di migliaia di lavoratori oramai usciti da anni dalla fabbrica ma ancora dipendenti dall'azienda.
Insomma l'esempio americano non ci dimostra la maggiore lumgimiranza del sindacato USA nei confronti della globalizzazione, ma la sua necessità di affrontare quelle sfide partendo dal contesto locale che vedeva i loro risparmi congelati in industrie più o meno decotte.
Anche la questione della rappresentanza, spesso segnalata come una anomalia italiana rispetto al più "moderno" contesto USA, ad un esame attento assume sfumature ben diverse.
Una parte significativa della elaborazione sulle tematiche del lavoro e dei rapporti fra imprenditoria e organizzazioni sindacali nel mondo è frutto del lavoro realizzato dalla più antica organizzazione dell'ONU, l'ILO (o OIL). Tanto antica da precedere come data di fondazione quella delle Nazioni Unite essendo stata formata nel 1919, poco dopo la fondazione della precursora dell'ONU, la Società delle Nazioni.
Nel corso degli anni l'ILO grazie al dialogo con le parti e l'impulso degli stati membri ha formato un sostanzioso corpo di norme e convenioni a tutela del lavoro, norme ratificate negli anni da paesi membri e che fanno si che il mondo delle relazioni industriali oggi sia più ordinato e giusto di quello ottocentesco.
Fra queste norme e convenzioni ce ne sono 8 centrali e che riguardano il diritto all'associazione e alla contrattazione collettiva, l'eliminazione del lavoro schiavo, eliminzione della discriminazione sul posto di lavoro, eliminazione dello sfruttamento del lavoro minorile.
Guardando la tabella delle ratificazioni salta subito all'occhio come fra i paesi del g8 tutti i paesi europei abbiano ratificato tutte le convenzioni, il Giappone ne abbia ratificate 6 su 8, il Canada 5, gli USA solo 2, e nessuna di queste riguarda i diritti di associazione sindacale.
Certo va detto che i processi di ratifica di convenzioni internazionali in uno stato federale sono piuttosto complessi, o almeno questa è la spiegazione che gli USA danno delle loro mancate ratifiche, così come la mancata ratifica non significa necessariamente una minore protezione. E tuttavia è assai indicativo di un contesto legale assai diverso in cui opera il sindacato USA rispetto a quello proprio di un sindacato europeo.
Queste cose sono certo che Marchionne le sa bene, e le sanno assai bene anche i sindacati, FIOM compresa.
Temo che spesso i commentatori o non lo sanno o si dimenticano di dirlo perché troppo intente a fare il tifo per il vincitore.
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