31.12.11
Deontologia
18.12.11
La lingua dei colonialisti
15.12.11
Si ma non chiamiamoli ragazzi
Il sangue nella mia città
la notizia dell'uccisione di Samb Modou e Diop Mor mi è arrivata lontano da Firenze.
E tuttavia la distanza non ne ha diminuito l'impatto, perché è nella mia città che sono morti, sono le pietre di marciapiedi che ho percorso spesso, quelle insanguinate dai due immigrati senegalesi e dagli altri tre feriti dall'assassino in san Lorenzo.
E l'immagine di cosa deve essere stata quella strada, le urla, la gente che corre, e la paura, mi ha accompagnato da quando ho letto la notizia, e mi accompagna ancora.
Perché se la ragione ci dice che ogni morte è una tragedia, ci colpiscono emotivamente gli eventi che incidono su quello spazio che sentiamo come il nostro mondo.
E questa volta è accaduto nella mia città.
11.12.11
il mercato ed i marciapiedi
Già mettere ordine al marciapiede perché nessuno ci inciampi pare essere un obbiettivo assai ambizioso.
4.12.11
Ius soli e la foto della regina in cucina
26.11.11
Contar le persone: statistiche, pregiudizi ed appartenenze
22.11.11
Aeroporto di Peretola (Firenze) - ore 15
15.11.11
Celebrazione di anniversari di cui non vantarsi
L'aereo era un monoplano Etrich Taube.
Cento anni dopo, il 20 ottobre 2011 un altro bombardamento, sempre in Libia, segnerà la fine di Gheddafi. .
12.11.11
Capi carismatici, autocrati illuminati e capitani d'industria
E' una passione antica quella per il capo, una passione antica che riaffiora di quando in quando ed a tutte le latitudini. In Italia è possibile che per qualche tempo verrà sopita, almeno a giudicare dai sussulti delle ultime settimane del governo Berlusconi.
Ma non è di Berlusconi che voglio parlare, ma delle tante volte in cui ci affidiamo al monarca, speranzosi che nella sua saggezza ci porterà fuori dalla palude, o ci farà sognare, o ci farà sentire migliori.
Voglio partire da due cifre: 850 milioni di dollari e 1.8 miliardi di dollari. La prima corrisponde più o meno al bilancio di esercizio dell'organizzazione mondiale della sanità, la seconda a quello della Bill & Melinda Gates Foundation.
L'organizzazione mondiale della sanità (WHO) è una grande struttura delle nazioni unite. E' una tecnosruttura fatta di funzionari, specialisti, e anche politici, ed è una struttura che si deve confrontare con la politica, nel suo caso rappresentata dagli stati membri delle Nazioni Unite.
Non vi è dubbio che quanto detto sopra può condizionare le priorità d'intervento, e tuttavia garantisce che ci sia un legame fra le priorità dell'organizzazione e quelle dei rappresentanti dei vari paesi (si potrebbe disquisire sulla effettiva rappresentatività delle volontà popolari da parte dei governi dei vari paesi, ma è un'altra questione, che ci porterebbe lontano).
La Bill & Melinda Gates Foundation invece è una grande fondazione privata che opera nel mondo della sanità, secondo alcune aree prioritarie di intervento, che la vedono finanziare istituti di ricerca, pubblicazioni scientifiche, programmi universitari, e progetti sul campo. Come abbiamo visto il suo budget operativo è più del doppio di quello della organizzazione mondiale della sanità.
Ovviamente la fondazione ha un comitato scientifico di altissimo livello, e le scelte sono scelte solide dal punto di vista scientifico, e non vi è dubbio che il modello operativo, associato alla quantità di denaro messo in circolo, abbia riattivato molto il mondo degli interventi nel mondo della sanità nei paesi in via di sviluppo.
In particolare la struttura, composta da pochi centri decisionali, è assai agile ed in grado di intervenire rapidamente.
Tuttavia proprio per le sue caratteristiche operative che la rendono così efficiente c'è da chiedersi se vada proprio tutto bene: se lo chiedono ad esempio Laura Freschi e Alanna Shaikh in un articolo uscito qualche mese fa.
In un passaggio ad un certo punto, dopo aver elencato i molti meriti dell'attivismo dei Gates, l'articolo sottolinea come in futuro potrebbe ad esempio capitarci di leggere di un progetto finanziato dalla fondazione, su un giornale le cui pagine sulla medicina nei paesi in via di sviluppo sono finanziate dalla fondazione, scritto da un giornalista che ha studiato con una borsa di studio dell fondazione, utilizzando dati di qualche ricerca della fondazione...
E se la storia fosse più complessa della voglia di raccontare i successi che caratterizzano spesso questi articoli?
Il caso delle Melinda & Bill Gates è ovviamente particolarmente eclatante, ma viene da chiedersi quanti interventi in giro per il mondo sono fatti perché ritenuti i più giusti dal finanziatore illuminato. E insomma, questa fiducia nei filantropi non ci priva del diritto di discutere, obiettare e contribuire al benessere dei nostri paesi?
E poi c'è quello che viene chiamato "halo effect", l'effetto alone, quell'effetto che ci fa pensare che qualcuno particolarmente bravo in una cosa, sia il migliore anche in tante altre. Siamo davvero sicuri che le qualità che hanno consentito a questo o quell'altro filantropo di primeggiare nel campo in cui hanno ammassato le loro fortune, siano le stesse necessarie per garantire lo sviluppo di società diversissime fra loro?
In politica la dimostrazione che un imprenditore di successo non necessariamente è anche un buon governante la stiamo vivendo in questi giorni in Italia; non vorrei viverne di analoghe anche nel mondo degli interventi per lo sviluppo.
3.11.11
Chi ha bisogno e chi sta male?
E' possibile che quella frase sia stata motivata più da qualche fastidio o pregiudizio, ahimé diffuso, per le persone venute dall'est, che dalla conoscenza del paese; non penso infatti che siano molte le persone della strada che compulsano abitualmente le statistiche sullo sviluppo, quelle statistiche che posizionano l'Albania in una posizione assai migliore dei paesi dove ho operato negli anni passati.
Tuttavia la frase mi ha colpito e provo a dire come la penso.
E non vi sono dubbi che una passeggiata per Nairobi, o Johannesburg, oltre ad essere potenzialmente assai più rischiosa, offre una immagine urbana assai diversa di quella che produono quattro passi per Tirana, con le sue vetrine ed i suoi caffé con i tavolini sulla strada.
E poi i mercatini improvvisati di verdure, con anziane contadine incartapecorite dal sole, che vendono i loro prodotti, ed il cui fazzoletto bianco sulla testa indica la provenienza dalla campagna e forse da un altro tempo. Quei contadini a cui il governo post comunista aveva dato le terre, fino ad allora di proprietà dello stato, troppo felice di poter con un tratto di penna trasformarli in piccoli imprenditori e toglierli dalle statistiche sulla disoccupazione.
Quei contadini la cui vita è cambiata poco, salvo che per i fortunati della periferia di una Tirana in espansione, che hanno beneficiato di qualche briciola del boom edilizio.
E poi qualche bambino che dorme per strada, spesso non escluso dalla povertà o almeno non solo, come le decine di migliaia di Addis o di Nairobi, ma dall'appartenenza alla minoranza rom.
E ogni tanto le scene comuni a tanta parte del mondo, di uomini coperti di stracci che rimestano nei cassonetti della spazzatura alla ricerca di qualche cosa di riciclabile, magari le tante lattine che una società modestamente opulenta riesce a produrre.
E' perché noi abbiamo bisogno.
Abbiamo bisogno di sapere che il mondo non finisce alla periferia della città in cui abitiamo. Abbiamo la necessità di sapere che molte delle cose che facciamo influiscono sulla vita degli altri, così come molte delle cose che ci interessano sovente nascono al di la del mare.
Ma sopratutto mi raccontava delle molte persone che sono state espulse dai paesi di emigrazione dalla crisi, ad esempio erano decine di migliaia gli albanesi emigrati in Grecia, e molti sono dovuti tornare, magari costretti ad investire, per garantirsi un futuro, i risparmi di una vita in una piccola attività commerciale a Tirana, e non è detto che gli sia andata bene.
Piccoli esempi per capire come siamo legati, perché sono anche nostre le crisi che muovono le persone attraverso i confini. Piccoli esempi che spiegano la necessità di cooperazione.
Mi vengono in mente quelle parole di don Milani così spesso citate e assai meno praticate: "Risolvere i problemi individualmente è egoismo, risolverli insieme è politica".
26.10.11
Semper aliquid novi Africam adferre
Eppure ogni tanto qualche sorpresa ce la offre. Parrebbe impossibile ma è proprio dall'Africa che arriva Ushahidi, un'idea che mette assieme le tecnologie di internet e della comunicazione via SMS per mappare i luoghi dove sono in corso crisi acute. Il risultato è una piattaforma che nata per mappare le violenze post elettorali in Kenya nel gennaio 2007, è stata poi utilizzata anche in diverse altre occasioni.
La più recente tre giorni fa con il terremoto in Turchia.
A mio avviso la cosa più significativa della piattaforma è che utilizza le tecnologie del web per rendere possibile a molte persone di essere testimoni, e segnalare con rapidità eventi rilevanti per quel paese o quella comunità.
Insomma, ancora una volta il web come area dove si esprime ed evidenza la partecipazione di persone in carne ed ossa. Una realtà assai diversa da quelle descritta solo qualche anno fa da chi scriveva di tecnologia e parlava di realtà virtuali" e "avatar" o anche solo la battuta vecchia, ma sempre carina, "in rete nessuno sa che sei un cane."
22.10.11
Operazione “Linda Nchi” (protezione Kenya).
21.10.11
We need him alive!
E tuttavia rimane il fatto che qualcuno, nella concitazione della cattura, esortava i ribelli ad avere giudizio, perché Gahdafi serviva probabilmente davvero più vivo che morto.
La prima riflessione che mi suscita quella frase è che intanto la nozione di popolo, o di movimento di liberazione, così indifferenziata e spesso utilizzata per giustificare la presenza di leader e condottieri, invece nasconde sensibilità ed intelligenze assai diverse, che vanno dal ragazzo che brandisce la pistola d'oro del rais, all'appunto anonimo che urla nel filmato "ci serve vivo".
La seconda è che davvero serviva vivo, anche se forse non avrebbe detto molto sui retroscena delle mille trame e dei mille sogni che lo hanno visto coinvolto. Trame e sogni non tutti necessariamente di segno negativo, anche se spesso in rotta di collisione con interessi ben consolidati.
Perché con lui vivo forse stato possibile sapere di più e meglio sui suoi 40 anni di potere, sugli affari fatti, sulle molte giravolte che lo hanno portato da finanziatore di rivoluzioni improbabili a "re dei re" in Africa. E su quanto abbia pagato il popolo libico in questo processo.
E' probabilmente per questo che qualcuno nella folla urlava quel "ci serve vivo". Non è stato ascoltato: credo ci sia più d'uno in giro per il mondo che ha tirato un sospiro di sollievo.
9.10.11
Carestie vittoriane ed emergenze umanitarie contemporanee
25.9.11
Cittadinanze necessarie
18.9.11
ca. 2007 - La Somalia vista dal 15esimo parallelo nord
17.9.11
Masaniello 2.0 ed il costo della polenta
16.9.11
Galateo italiano
Molti lo trovavano simpatico per quella sua capacità di infischiarsene dei cerimoniali più consolidati. Oggi a leggere i giornali mi chiedo quanti ancora pensino di aver scelto bene al momento del voto e quanti invece si sentiranno come dopo una notte un po' brava, quando il mal di testa e qualche foto che non avrebbero voluto fosse stata scattata, o qualche parola che non avrebbero voluto pronunciare, sono li a ricordare che non è mai bene trasformare i difetti e le debolezze in virtù, perché prima o poi arriva il conto.
La nota più amara è che oggi il conto lo dobbiamo pagare tutti.
8.9.11
Imagine there's no countries
Ed invece gli stati ci sono, e sono separati da confini di ogni genere. Confini storici e confini contesi, confini pacifici e confini turbolenti. la linea gialla della foto delinea un confine illuminato, che separa due potenze nucleari da sempre sul chi vive. L'articolo sulla foto satellitare del confine fra India e Pakistan qui.
3.9.11
La fame in TV
La frase tuttavia dice qualche cosa di più importante dei pregiudizi di un presidente, ricorda come la TV fosse già allora diventata centrale nell'inserire nell'agenda politica argomenti altrimenti destinati all'indifferenza, e sopratutto, con la sottolineatura del “my TV set”, ci ricorda come a colpire non è il fatto in se, ma la sua interferenza con il quotidiano, in questo caso il quotidiano dello schermo TV casalingo di un presidente già alle prese con il conflitto in Indocina e la montante protesta studentesca.
Ripensavo a quella frase qualche giorno fa mentre un amico mi sventolava davanti agli occhi l'ennesimo reportage dalla Somalia, con la descrizione delle sofferenze della popolazione per la carestia e l'immancabile chiosa sull'indifferenza occidentale.
E' l'assenza di copertura mediatica ad impedire la nostra presa di coscienza o è invece la sua mancanza di interferenza con il quotidiano? Perché non è sufficiente sparare la notizia per far si che entri nel circuito, bisogna che diventi l'oggetto dell'interesse degli attori del quotidiano. In assenza di questo la notizia al massimo sollecita note d'ambasciata e un po' di articoli su qualche rivista specializzata.
Insomma, per rispondere al mio amico, ci sono persone che per funzione e mestiere o per passione guardano al mondo, e sono da lodare, ma la maggior parte degli uomini vede il vicino di casa, il collega d'ufficio, il compagno di scuola come soggetto con cui solidarizzare o entrare in contatto, qualche volta presta attenzione alle immagini che propone la TV, ma solo se accompagnate da qualche soluzione “premasticata” tipo sms, intervista all'operatore, banchino per le firme. Ed è comprensibile, perché è ogni essere umano vive agisce e si orienta nel suo orizzonte.
Ed allora probabilmente la sfida è aprire e dare un senso all'orizzonte quotidiano di tante persone. Il problema è come, oggi che di schermi ce ne sono tanti ma capacità e volontà di proporre soluzioni assai meno.
31.7.11
Della siccità e della carestia
Nell'estate del 2002 in Eritrea non piovve, ed anche la stagione primaverile, quella definita delle piccole piogge, fu avara di precipitazioni atmosferiche.
Vale appena la pena di ricordare che in tutta la zona del Sahel la stagione estiva è anche definita la "lean season" la stagione cioè in cui le scorte dell'anno prima sono esaurite od in esaurimento e non è ancora il momento del raccolto. Questo per dire che probabilmente in molte parti dell'Eritrea erano già mesi che si stringeva la cinghia.
Ed era già febbraio.
E tuttavia passarono ancora parecchie settimane prima che i primi progetti venissero finanziati.