"Iraq, svariate autobombe uccidono centinaia di persone. Ma, grazie a Dio, nessuno è stato lapidato.". E' la frase riportata sulla pagine del 4 novembre di spinoza.it, un sito dedicato a far satira partendo dalle notizie pubblicate sui giornali.
Solo che a differenza di altre volte la battuta non fa ridere, ma non perché poco arguta o di cattivo gusto, ma perché affronta di petto la questione del rapporto che noi abbiamo con la morte violenta degli "altri".
Non è solo la differenza nei numeri, ovvero la frase di Stalin sulla differenza che esiste fra tragedia e statistica, è il contesto che per noi conta, ed aimhé a volte questo dice molto di più sui nostri pregiudizi che non sulla nostra capacità di provare compassione.
Nella campagna a favore di Sakineh riecheggiata nella citata frase di Spinoza.it cosa è che fa più presa sull'opinone pubblica? le modalità barbare con cui dovrebbe essere giustiziata, il fatto che è condannata per un reato, l'adulterio, assai popolare dalle nostre parti, o il fatto che tutto questo avviene in un paese di religione islamica?
A mio avviso l'aspetto pienamente convincente della campagna è che nessun essere umano deve essere condannato a morte, qualunque sia la gravità del suo delitto ed a qualunque latitudine.
Tuttavia vi sono aspetti della campaga per Sakineh che rischiano di alimentare il "complesso di superiorità" occidentale nei confronti di altri paesi ed altre culture (e religioni), con tutto il corollario di luoghi comuni, dai poliziotti sempre corrotti, giudici sempre fanatici e regimi sempre dittatoriali.
Vale la pena di ricordare come mentre ci preoccupavamo, giustamente, che Sakineh non venisse lapidata, negli Stati Uniti veniva giustiziata una donna accusata, come peraltro Sakineh, di aver procurato la morte del marito.
Certo che in ognuno dei luoghi comuni che alimentano il "complesso di superiorità" occidentale esiste un pezzo più o meno significativo di verità, e tuttavia i primi attori nella battaglia per poliziotti meno corrotti, giudici più equilibrati e regimi più democratici sono e devono essere i cittadini di quei paesi.
Come peraltro ci ha ben mostrato proprio l'Iran un anno fa, quando ci siamo accorti come quella che ci immaginavamo essere una nazione ben inquadrata sotto le bandiere del fondamentalismo sciita era invece una realtà ben diversa.
Ma per tornare a Sakineh: una persona non può ne deve essere condannata a morte, qualsiasi sia il mezzo scelto e qualsiasi sia la colpa. Che abiti in Iran, a Pechino od in Alabama. Che abbia avuto giudici formati sulla sharia, sulle varie fonti del diritto cinese o studiosi della common e criminal law anglosassone.
Ripetiamolo sempre, tanto per ricordarlo anche a chi i giorni pari urla giustamente per la barbarie della lapidazione e nei giorni dispari propone la pena di morte dopo questo o quell'episodio di cronaca.