Il Corno d'Africa per molti italiani è una terra lontana, legata a studi liceali o a qualche vecchia cartolina trovata in soffitta e spedita da un parente oramai scomparso da tempo. Nei casi migliori al Corno d'Africa si riferisce qualche aggiornamento in chiusura di notiziario relativo all'ennesimo attentato in Somalia o, ed allora la notizia si posiziona meglio nel palinsesto, la segnalazione dell'arrivo sulle nostre coste di profughi provenienti da quelle parti. Quando capita appare anche la notizia più singolare, come quella dell'intera nazionale di calcio dell'Eritrea che non fa rientro in patria dopo una partita internazionale, una di quelle notizie cui dedichiamo al massimo una rifessione fugace per poi tornare alla nostra quotidianità.
Sicuramente non abbiamo visto sui nostri media la notizia apparsa pochi giorni fa sul circuito reuters e che riportava la rivendicazione di un gruppo dell'opposizione eritrea relativo ad un attacco su un campo eritreo al confine con l'Etiopia. La notizia è stata confermata anche dal sito ufficiale del governo eritreo, anche se anziché dare la responsabilità dell'attacco a gruppi dell'opposizione parla di truppe etiopiche .
Non sono in grado di dire quale versione sia quella corretta e tuttavia debbo notare che l'incidente è serio ed indicativo del possibile riacutizzarsi di conflitti su quella linea di confine. Manco da tempo da Asmara ma non mi stupirei se in questi giorni fossero ripresi i voli di addestramento dei Mig ed i programmi patriottici in TV.
Sono confini lontani, per cui mi immagino che pochi si chiedano cosa stia accadendo da quelle parti. Ma facciamo male, perché quello che sta accadendo ci tocca molto di più di quanto non pensiamo. E non solo per il flusso di profughi, peraltro ridotto dalle disposizioni in materia di respingimenti in Libia che da sole bastano a farci vergognare del nostro governo.
Se non abbiamo il cuore per essere turbati dalle immagini di violenze e sangue, queste dovrebbero toccarci almeno perché questi conflitti avvengono di fronte al mar Rosso, forse la più importante via d'acqua con cui merci e petrolio arrivano in Europa.
Difficile non vedere un nesso fra lo scontro al confine ed il fatto che poco prima di Natale il consiglio di sicurezza dell'ONU ha emesso delle sanzioni a carico dell'Eritrea in seguito al supporto che il paese ha dato agli insorti somali in questi anni ed alla mancata soluzione di una vicenda di confine con Djibuti.
Non ho strumenti per valutare se le accuse sollevate contro l'Eritrea siano fondate in toto o in parte, e tuttavia temo che le conseguenze dell'ulteriore isolamento Eritreo non saranno quelle attese di un calo delle tensioni nell'area.
Intanto perché se non ho molta difficoltà a riconoscere che l'Eritrea operi in Somalia, per un interesse a mantenere sulle spine l'Etiopia, suo nemico storico, temo che non sia l'unico paese a farlo e sopratutto, per quel che so delle finanze del paese, temo che lo faccia per conto terzi. Eppure è identificato come unico destinatario di sanzioni...Che sia un parlare a nuora perché suocera intenda? Ma è un meccanismo che nella diplomazia non funziona gran che.
Ed infatti Gordon Brown ha dichiarato in queste ore che per combattere il terrorismo dovranno intervenire in Yemen e Somalia.
Ci sono poi meccanismi messi in moto dalla seconda motivazione delle sanzioni: la mancata risoluzione delle tensioni di confine con Djibuti.
Chi come me ha vissuto per alcuni anni in Eritrea sa bene quanto abbia pesato, sia sulla situazione interna attuale che sul posizionamento internazionale, la mancata chiusura del contenzioso di confine con l'Etiopia, un contenzioso sulla carta risolto da un trattato che prevedeva un giudizio arbitrale innappellabile e poi una demarcazione del confine.
Questo processo, sponsorizzato fortemente dall'Onu, si è fermato perché l'Etiopia riteneva sbagliato il giudizio e lo voleva rivedere. Il risultato è che ci sono ancora truppe etiopiche che stazionano in parti di territorio assegnate all'Eritrea ed i cui dati sono oramai parte del database dei confini conservato dall'ONU (in sostanza la commissione per i confini non potendo demarcare sul terreno per l'opposizione del governo etiopico ha effettuato una demarcazione virtuale consegnando poi le mappe all'ONU).
Diciamo che in termini d'urgenza fra la chiusura di un conflitto sanguinoso con decine di migliaia di morti terminato nel duemila con un arbitrato di un paio di anni successivo e una scaramuccia di confine del 2008 io non avrei dubbi su dove intervenire prima con il pugno di ferro. A maggior ragione se sospetto che la motivazione dietro all'"internazionalismo" dell'Eritrea sia quella di condurre una guerra di logoramento per interposta persona all'Etiopia. O almeno avrei tentato di individuare tutte le ragioni di instabilità nel Corno d'Africa.
La risoluzione invece fornisce ancora un'altra occasione al governo eritreo per fare con il suo popolo la parte della vittima dell'ONU (nella storia eritrea esiste il precedente dell'atto con cui l'ONU decise che la ex colonia italiana venisse, dopo la seconda guerra mondiale, federata all'Etiopia anziché concederle l'indipendenza come chiedevano molte forze politiche eritree).
Insomma il sospetto è che nella incapacità di affrontare l'intrico somalo e più in generale del Corno d'Africa si sia scelta la scorciatoia della individuazione del cattivo di turno.
E' una strategia rischiosa sotto vari profili, intanto ci dicono gli esperti di cose somale che in realtà l'Eritrea supporta si uno dei gruppi che si oppongono al governo sponsorizzaro dall'ONU, ma che questo non è quello più vicino ad Al Quaida e che anzi in questi mesi il conflitto era non solo fra oppositori e governo ma anche fra i diversi gruppi di oppositori. Insomma, se l'Eritrea supporta uno dei gruppi dell'opposizione, indebolire nel mezzo di una lotta intestina proprio il gruppo con cui forse sarebbe più facile negoziare non mi sembra una grande idea.
La seconda questione è legata al messaggio piuttosto forte che viene diffuso in un'area a grande instabilità e di cui l'episodio di qualche giorno fa è un esempio.
Qualcuno potrebbe obiettare che non ho fatto alcun riferimento alla situazione interna dell'Eritrea che lo rende un paese dai pessimi risultati in tutti i principali indicatori relativi ai diritti umani. E' una obiezione legittima e tuttavia c'è da chiedersi quanto la sindrome d'accerchiamento, vera o procurata che sia, contribuisca ad aggravare quegli indicatori: nella storia sono infatti rari, se non assenti, i casi di sistemi democratici che si sviluppano durante un assedio vero o percepito che sia.
E' quindi solo rimuovendo le pretese cause della sindrome che saremo in grado di capire se queste erano solo pretesto per l'oppressione o motivo di preoccupazione in qualche modo comprensibile per una parte di eritrei. E comunque il futuro dell'Eritrea è un tema che deve vedere in prima fila prima di tutto il suo popolo.
Certo nelle sanzioni ci potrebbe essere un obiettivo non dichiarato ma plausibile considerato quanto la leadership di Issaias Afwerki è indigesta a diversi paesi dell'area, obbiettivo che vedrebbe nell'indebolimento del gruppo dirigente eritreo dalle sanzioni una precondizione per il suo superamento.
Tuttavia mi pare che non sia molto realistico, nel senso che è assai più probabile il precipitare del paese in un caos magari aiutato dal riaffiorare di antiche differenziazioni religiose ed etniche e con una parte significativa delle intelligenze oramai espatriate, che non assistere ad un cambiamento di regime come ad esempio improvvidamente auspicato qualche tempo fa dalla precedente amministrazione USA.
Ma i problemi non si fermano qua, c'e' un'altra linea di confine di cui preoccuparci ed è quella fra nord e sud Sudan determinata da un accordo di pace sempre traballante: fra poche settimane si voterà in Sudan e fra un anno si dovrebbe tenere il referendum per l'autodeterminazione del sud Sudan. Certo le alleanze nell'area sono cambiate molto da quando gli eritrei (quella volta con il beneplacito dell'occidente) erano stati importanti nel supporto delle istanze sud sudanesi. E tuttavia non è detto che un'alleanza Etiopia - Sudan, un tema che ritorna di tanto in tanto, sia sufficente ne auspicabile a garantire la stabilità in un'area cruciale.
Qualche tempo fa un intellettuale esule sudanese molto vicino al governo del Sud Sudan mi diceva che l'unica stella polare che dovrebbe guidarci è quella del rispetto degli accordi, perché tutte le altre modalità di composizione dei conflitti, quali quello ad esempio che fa affidamento a potenze regionali,in aree complesse come il Corno d'Africa non funzionano.
Nel Corno d'Africa ci sono due accordi che sulla carta hanno il supporto di comunità internazionale e attori regionali e quindi hanno tutte le carte in regola per funzionare a patto che vengano rispettati dai firmatari: quello di Algeri fra Eritrea ed Etiopia ed il Comprehensive Peace Agreement fra nord e sud sudan. Farli applicare in toto dovrebbe essere l'impegno di tutti. Altrimenti il rischio è che il più debole soccombe, ed i fatti ci insegnano che oramai in Africa anche il gruppo più piccolo e fragile è in grado di mantenere intere aree del paese nell'instabilità rappresentando un pericolo per molti ed un ostacolo allo sviluppo.
Ma a conferma di quanto niente sia semplice da quelle parti, c'e' da dire che anche in Etiopia si vota fra poco e le precedenti elezioni non erano andate affatto bene per il partito di governo con accuse di brogli, disordini in piazza, morti e leader dell'opposizione in carcere.
Pur non essendo l'unico problema per l'Etiopia, il groviglio di questioni internazionali che vanno dalle questioni del rapporto con l'Eritrea al tema dell'Ogaden alla Somalia avra' un suo ruolo nella campagna elettorale, con temi he vanno dall'accesso al mare alle questioni lasciate aperte dall'accordo di Algeri alla semplice necessità di dover sostenere un conflitto che magari una delle due parti potrebbe decidere essere la soluzione migliore per chiudere definitivamente il contenzioso.
Sarà opportuno tenere gli occhi aperti.
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