6.7.09

Razzismo e dintorni


Paola Concia deputata, attivista omossessuale e modella nella foto: «L’abbiamo fatto per invitare i cittadini a guardare in faccia gli altri cittadini, a mettersi più spesso nei panni degli altri. I panni di chi vive da diverso, ma ogni giorno si sveglia affrontando il giorno come un giorno nuovo, da vivere “senza macchia e senza paura”.

La frase di Paola riportata da L'Unità mi ha ricordato di un episodio di qualche anno fa, quando con un amico e collega sudafricano andavamo a recuperare del materiale per una trasmissione radio presso la SABC (il servizio pubblico televisico sudafricano). Essendo materiale che probabilmente doveva essere affittato anche in altre occasioni, ed io comunque avevo solo un ruolo di supporto, dissi a Mlungisi che era meglio se parlava direttamente lui con l'impiegato. Mlungisi sorridendo mi fece notare che in Sudafrica, se vedono un bianco ed un nero assieme presumono sempre che il primo sia il padrone ed il secondo l'uomo di fatica, e si rivolgeranno al primo.

Era il 1999, l'apartheid era finito da tempo, ma l'apartheid nelle teste delle persone era (ed è) assai più duro da sradicare.

Ho spesso riflettuto sulla mia pelle bianca e su quanto mi ha reso più facile la vita. Ben diversa la storia di Mlungisi, scappato da Soweto nel 1976, dopo che la repressione aveva reso impossibile la vita a chi come lui aveva partecipato ai moti studenteschi. Il suo passaporto era una collezione di visti di stati africani che lo avevano ospitato. Mi parlava dell'Unione Sovietica dove aveva imparato come anche dietro alla solidarietà internazionalista c'erano pregiudizi razziali.

Una vita con la pelle nera. Ma il discorso vale per chiunque appartenga ad un'altra comunità di persone, come ci ricorda Paola Concia. Perchè quando un paese si sente debole o una comunità si sente minacciata la prima cosa che fa è percepire le altre comunità come un pericolo. E così si perde.

Una amica che aveva lavorato in una struttura che ospitava bambini non vedenti, mi raccontò che dopo essere stata assunta aveva dovuto passare del tempo nella struttura completamente bendata, perchè doveva conoscere quale era la percezione dell'ambiente circostante che avevano i suoi assistiti.

Forse dovremmo essere anche noi clandestini per un po'. Sapere cosa vuol dire avere paura quando vediamo un normale controllo dei vigili urbani, sapere cosa vuol dire uscire con il timore che sulla nostra faccia sia visibile la scritta "sono irregolare"...

Intanto consoliamoci nel notare come dissipati i fumi della battaglia all'invasore straniero, qualcuno dell'esecito vincente comincia a fare i conti e notare come gli invasori in realtà erano già parte di noi, e ci aiutavano a guardare i nostri vecchi, a pulire le nostre case, a costruire le nostre case, a far funzionare le nostre fabbriche, a pagare le nostre pensioni.

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