Anche io credo che il vertice dell'Aquila sia stato un successo, che lo spostamento del vertice si sia dimostata una buona idea, ma non per i motivi esposti dal governo italiano.
Il G8 dell'Aquila ha mostrato in modo evidente come il soggetto sia arrivato alla sua fase terminale.
Davanti alle macerie dell'Aquila, alcune ancora nella stessa posizione in cui erano state lasciate dal terremoto, appariva ancora maggiore il contrasto fra lo spiegamento di forze, costi resi necessari per portare i cosiddetti "grandi della terra" ad incontrarsi per tre giorni ed i risultati effettivi troppo modesti raffrontati ai costi, e risultati politici ancora più modesti se raffrontati alla storia di questo tipo di riunioni.
Perchè se alla fine del vertice non si capisce se i riferimenti del documento finale ai fondi per l'Africa parlino di finanziamenti aggiuntivi, oppure di mantenimento di impegni disattesi nel passato, significa che gli estensori del documento finale sono stati assai abile a dissimulare la realtà effettiva: che i "grandi della terra" sono usi a prendersi impegni che non mantengono.
Qualcuno ha detto che le promesse del G8 all'Africa assomigliano molto al reimpacchettamento di un regalo già promesso nel passato e mai consegnato.
Ma anche gli altri grandi obiettivi del G8 non sono stati raggiunti. Perchè semplicemente fuori dalla portata del gruppo. Tralascio di parlare delle proposte legate agli aspetti finanziari, degne di per se di una nota. Ma significativo è notare come "l'intesa" sulle questioni del riscaldamento globale è solo la conferma che nell'appuntamento dell'ONU di Copenhagen ci sarà da lavorare parecchio per trovare come finanziare la riduzione delle emissioni di anidride carbonica nei paesi di recente sviluppo.
Il fatto che la Cina, non solo per se ma anche in nome di una quanitità di paesi in via di sviluppo, abbia riconosciuto la necessità di affrontare l'effetto serra, ma non abbia sottoscritto impegni per il suo contrasto, la dice lunga su quanto occorra fare perchè un tema vitale per il pianeta sia affrontato.
Il fatto è che se diverse sono le responsabilità rispetto al degrado dell'ambiente, è bene che anche gli impegni siano ripartiti in maniera differenziata, tenendo conto di possibilità, teconologie disponibili e c.
Il problema è che una parte dei paesi sviluppati hanno al momento già difficoltà ad accettare di prendersi impegni in casa loro e pertanto riesce difficile vederli aiutare e finanziare i paese in via di sviluppo nell'individuazione di teconologie pulite.
Il comunicato finale sull'ambiente, salutato come un successo, lo è effettivamente perchè mette per la prima volta nero su bianco l'adesione degli Stati Uniti, confermando quella che era la posizione della amministrazione di Barak Obama sin dal suo insediamento, e sopratutto perchè porta la firma di Berlusconi, che invece si è contraddistinto per aver cercato sempre di frenare rispetto agli impegni sottoscritti dall'Italia nei vari protocolli in materia ambientale.
Peccato però che Obama debba ottenere ancora l'approvazione del senato alle sue politiche ambientali, e peccato che nei giorni del vertice del G8 il parlamento italiano ha approvato provvedimenti che puntando nuovamente sul nucleare, sposano un modello energetico che potrà iniziare a contribuire all'abbattimento dei gas serra solo fra una decina di anni (se tutto va bene), questo ovviamente senza prendere in considerazione tutte le obiezioni, e ce ne sono tante, sulla tecnologia nucleare per se.
In questo quadro era lecito aspettarsi che da parte del G8 non ci fosse una risposta entusiastica alla domanda "chi paga per contrastare l'effetto serra nei paesi in via di sviluppo", difficile però sostenere che dal G8 sia arrivata "la risposta" ai temi dell'ambiente.
La realtà è che il G8, come detto sopra, è obsoleto come meccanismo di facilitazione del governo delle complessità contemporanee. La ricerca di nuovi meccanismi è aperta da tempo. Il sospetto è che sarà lunga, perchè fortunatamente sono entrati in campo nuovi soggetti, nuove domande e nuove necessità che non sono più risolvibili raccogliendo attorno al tavolo volta volta i paesi ricchi (perchè non sono più quelli di una volta...) o quelli con deterente nucleare (anche quello pieno di nuovi arrivati o di aspiranti tali), o quelli che rappresentano le potenze regionali. Un meccanismo obsoleto, poco efficace e piuttosto costoso, anche fra le macerie.
Lo ha confermato il G8 dell'Aquila e questo è un successo.
11.7.09
6.7.09
Razzismo e dintorni
Paola Concia deputata, attivista omossessuale e modella nella foto: «L’abbiamo fatto per invitare i cittadini a guardare in faccia gli altri cittadini, a mettersi più spesso nei panni degli altri. I panni di chi vive da diverso, ma ogni giorno si sveglia affrontando il giorno come un giorno nuovo, da vivere “senza macchia e senza paura”.
La frase di Paola riportata da L'Unità mi ha ricordato di un episodio di qualche anno fa, quando con un amico e collega sudafricano andavamo a recuperare del materiale per una trasmissione radio presso la SABC (il servizio pubblico televisico sudafricano). Essendo materiale che probabilmente doveva essere affittato anche in altre occasioni, ed io comunque avevo solo un ruolo di supporto, dissi a Mlungisi che era meglio se parlava direttamente lui con l'impiegato. Mlungisi sorridendo mi fece notare che in Sudafrica, se vedono un bianco ed un nero assieme presumono sempre che il primo sia il padrone ed il secondo l'uomo di fatica, e si rivolgeranno al primo.
Era il 1999, l'apartheid era finito da tempo, ma l'apartheid nelle teste delle persone era (ed è) assai più duro da sradicare.
Ho spesso riflettuto sulla mia pelle bianca e su quanto mi ha reso più facile la vita. Ben diversa la storia di Mlungisi, scappato da Soweto nel 1976, dopo che la repressione aveva reso impossibile la vita a chi come lui aveva partecipato ai moti studenteschi. Il suo passaporto era una collezione di visti di stati africani che lo avevano ospitato. Mi parlava dell'Unione Sovietica dove aveva imparato come anche dietro alla solidarietà internazionalista c'erano pregiudizi razziali.
Una vita con la pelle nera. Ma il discorso vale per chiunque appartenga ad un'altra comunità di persone, come ci ricorda Paola Concia. Perchè quando un paese si sente debole o una comunità si sente minacciata la prima cosa che fa è percepire le altre comunità come un pericolo. E così si perde.
Una amica che aveva lavorato in una struttura che ospitava bambini non vedenti, mi raccontò che dopo essere stata assunta aveva dovuto passare del tempo nella struttura completamente bendata, perchè doveva conoscere quale era la percezione dell'ambiente circostante che avevano i suoi assistiti.
Forse dovremmo essere anche noi clandestini per un po'. Sapere cosa vuol dire avere paura quando vediamo un normale controllo dei vigili urbani, sapere cosa vuol dire uscire con il timore che sulla nostra faccia sia visibile la scritta "sono irregolare"...
Intanto consoliamoci nel notare come dissipati i fumi della battaglia all'invasore straniero, qualcuno dell'esecito vincente comincia a fare i conti e notare come gli invasori in realtà erano già parte di noi, e ci aiutavano a guardare i nostri vecchi, a pulire le nostre case, a costruire le nostre case, a far funzionare le nostre fabbriche, a pagare le nostre pensioni.
l'Italia e gli impegni per lo sviluppo
Avvenire venerdì 3 luglio 2009 - intervista a Barak Obama "Dal G8 vorrei poter ottenere la convinzione che eravamo seri quando ci siamo incontrati a Londra (per il G20, ndr) e abbiamo specificamente parlato della necessità non solo di stabilizzare l'economia, ma anche di far sì che gli effetti immediati della crisi non siano subiti in modo sproporzionato dai Paesi più vulnerabili...come Stati Uniti...abbiamo già in programma di raddoppiare gli aiuti alle nazioni povere, non solo per interventi immediati, ma anche per il futuro. La priorità dell'America al prossimo G8 è proprio di indurre gli altri Paesi a fare altrettanto"
Ansa 27 giu. - La Camera dei deputati americana ha approvato di strettissima misura un colossale progetto di legge destinato a lottare contro il riscaldamento globale del pianeta ed a creare contemporaneamente nuovi posti di lavoro. Il testo, di oltre 1.200 pagine, deve essere ancora approvato dal Senato. Alla Camera ha ottenuto 219 voti a favore (appena uno in piu' dei 218 necessari) e 212 contrari.
Il presidente americano Barack Obama, citato dai media Usa, si e' detto felice del risultato ed ha definito il progetto come ''una vittoria del futuro sul passato'' nonche' come ''una passaggio audace e necessario''.
la Stampa, 5 luglio: Bob Geldof "La cancelliera Merkel, il premier Brown, persino il presidente Sarkozy hanno aumentato gli aiuti per la povertà. L’Italia li ha ridotti di 400 milioni. Tutti mantengono le promesse, tranne il governo italiano. Presidente Berlusconi, come può guidare il G8?".
Le citazioni riportate qua sopra danno il senso di come mentre fra gli altri pasei del G8, Usa in testa, sia evidente la connessione fra temi locali e temi globali quando si parla di sviluppo e di leadership, in Italia i comportamenti siano assai diversi.
Putroppo l'Italia che fa già fatica a guardare all'Europa, men che meno a tenta di capire cosa succede fuori dal continente. Tutto viene analizzato e verificato con logiche interne, e pure male. Tanto che immediatamente a destra c'e' chi si indigna quando uno di loro fa notare i cortocircuiti che le varie iniziative possono provocare nel paese.
Ad esempio credo che anche l'ultima uscita di Giovanardi, con l'appello alla regolarizzazione di collaboratrici e badanti, sia dovuta alla constatazione in un pezzo del PDL, della irrazionalità ed impopolarità di un provvedimento che rischia di privare una parte della società di collaborazioni rese oramai indispensabili dall'invecchiamento della popolazione e dalle insufficenze del sistema sanitario pubblico.
Eppure un paese con qualche ambizione, come dice di essere l'Italia, dovrebbe provare a ragionare razionalmente sui temi dello sviluppo e sopratutto dovrebbe farne oggetto di dibattito fra i suoi cittadini, perchè è sempre più chiaro come quello che accade in Africa od in Asia può avere ripercussioni sulla nostra vita, e sopratutto come molte delle scelte che vengono fatte nell'occidente influiscono sulla vita di quelle persone, compreso sulla scelta di molti di loro di prendere la via dell'emigrazione.
Allora partiamo dai ragionamenti razionali, provando a vedere le connessioni che vi sono fra migrazioni, tematiche dello sviluppo, tematiche ambientali e impegni dell'occidente.
1) Uno dei dati incontrovertibili è come i fenomeni migratori siano destinati a crescere, e non per i successi delle politiche economiche occidentali, che generano una prosperità che attira i poveri del mondo (quello che viene definito il pull factor) ma per gli insuccessi delle politiche occidentali laddove si relazionano ai paesi in via di sviluppo. E non si tratta solo di politiche di cooperazione, dove la lista delle promesse mancate è lunghissima, ma nel meccanismo di sviluppo dell'occidente che ha creato diseconomie per i paesi in via di sviluppo.
La vulgata dice che i paesi che sono rimasti al palo lo sono rimasti perchè guidati da autocrati e corrotti, ed è una analisi giusta, tuttavia meno si dice di come per un mondo interessato a mantenere bassi i prezzi delle materie prime, l'esistenza di autocrati e corrotti, e con un buon controllo del territorio, è spesso il prezzo da pagare per evitare che paesi ricchi di queste risorse acquisiscano anche il controllo dei prezzi delle loro risorse.
Insomma, la povertà del sud dice molto su di noi e sul nostro modello di sviluppo economico. Un modello di sviluppo economico che peraltro ha conseguenze negative anche sulla nostra qualità di vita.
Non si tratta quindi di farlo solo per "loro", si tratta di farlo anche per noi.
Questo diventa evidente quando parliamo di ambiente, e questo sarà particolarmente evidente nei prossimi mesi mano mano che ci avvicineremo alla conferenza dell'ONU di Copenhagen sul riscaldamento globale.
Una conferenza di cui poco si parla in Italia, un po' per una certa incapacità del sistema informativo a guardare a temi che travalicano i confini, un po' forse per l'imbarazzo derivante dal fatto che l'Italia è fra i paesi che meno ha fatto per rispettare gli impegni di Kyoto, un pò probabilmente per il fatto che il nostro paese è ben fornito di "negazionisti del riscaldamento globale" e come molti di questi abbiano responsabilità di governo e siano in grado di dettare l'agenda informativa.
2) E tuttavia i disastri ambientali sono un formidabile push factor: è diventato infatti sempre più evidente come gli squilibri conseguenti al fattore serra stiano colpendo in misura assai maggiore e precoce i paesi della fascia equatoriali, soggetta a regimi di pioggie torrenziali e cicli aridi con una successione e dinamiche cui quei paesi non erano abituati e peri quali non vi sono risposte nelle pratiche millenarie di quelle agricolture di sussistenza.
Ne tanto meno le economie di quei paesi sono preparate a sostenere l'impatto delle povertà di natura ambientale. E' possibile che nessuno dei clandestini africani che arrivano da noi sia direttamente un "profugo ambientale" ma è assai probabile che il mancato sviluppo del suo paese e le mancate opportunità conseguenti abbiano una derivazione di tipo ambientale. E' il caso del conflitto nel Darfur, e' il caso delle dinamiche nel corno d'Africa.
C'e' da chiedersi ad esempio quale futuro potrà avere un giovane del Chad, che è il settimo Paese più povero al mondo, dove l’80% dei suoi 9 milioni di abitanti vive sotto la soglia della poverta con meno di un dollaro al giorno. Il Chad ha visto il lago da cui prende il nome ridursi ad una pozzanghere (e' passato dai 28,000 kmq di estensione del '800 ai 1500kmq di oggi.
Il paese accoglie oggi oltre 270.000 rifugiati, in maggioranza provenienti dal Darfur e in parte dalla Repubblica Centro Africana, e assiste oltre 180.000 sfollati interni. Ed il conflitto del Darfur è stato definito il primo conflitto dovuto all'effetto serra perchè ha visto un tema antico, lo scontro fra civilta stanziali e civiltà pastorali per l'uso della terra, avvenire in un contesto di progressiva desertificazione.
3) La gravità delle modificazioni introdotte dalle mutazioni climatiche è sempre più evidente: non siamo più infatti alle lamentele sulle mezze stagioni scomparse ma ad una ben più concreta analisi con conseguente strategia, predisposta e discussa in consessi internazionali di altissimo livello, e che prevede impegni specifici da parte di tutti i paesi per la riduzione dei gas serra.
Per essere più specifici: l'impegno è impedire un aumento della temperatura globale di due gradi, soglia oltre cui si stima che i mutamenti sarebbero probabilmente irreversibili, mediante una riduzione delle emissioni dannose che riporti la terra alle condizioni del 1990.
Il dato significativo è che perchè questo obbiettivo sia raggiunto occorre che tutti i paesi concorrano: per essere chiari, se anche i paesi sviluppati rispettassero i loro impegni (e non li stanno rispettando), senza un analogo impegno dei paesi in via di sviluppo, gli obbiettivi di riduzione delle emissioni globali non verrebbero raggiunti.
Con un danno per tutti, sia per chi già vive nelle zone più fragili del pianeta, che per chi invece ancora si accorge dei mutamenti climatici per una solo per la sempre più rapida successione di fenomeni atmosferici inusuali poco promettenti per il futuro.
E tuttavia alcuni dati sono certi:
76% delle emmissioni già presenti nell'atmosfera sono responsabilità dell'occidente
un australiano immette nell'atmosfera 5 volte più di un cinese, un canadese 13 volte più di un indiano.
100 paesi in via di sviluppo, con una popolazione di un miliardo di persone è responsabile del 3% dell'effetto serra.
I paesi sviluppati hanno più risorse GDP procapite, ad esempio gli Stati Uniti hanno un GDP che è 10 volte quello cinese e 19 quello Indiano.
Questo a dire che le risorse per salvare la terra stanno prima di tutto da questa parte dell'emisfero, così come le responsabilità per i danni....
O meglio:
se i paesi in via di sviluppo intraprendono una strada simile alla nostra, i disastri ambientali saranno analoghi.
Se non si sviluppano ci sarà un inesorabile esodo verso il nord del mondo.
Per svilupparsi in modo rispettoso dell'ambiente occorrono tecnologie e risorse di cui non dispongono e che invece sono patrimonio dell'occidente...
Ed allora si ritorna al punto di partenza evidenziato dalle citazioni: abbiamo un imperativo a guardare al mondo, un imperativo che non nasce dalla pur nobile voglia di fare del bene, ma dalla circostanza che è il nostro futuro ad essere in gioco. Ed è per questo che è indispensabile sottolineare come l'Italia non stia facendo la sua parte.
Ansa 27 giu. - La Camera dei deputati americana ha approvato di strettissima misura un colossale progetto di legge destinato a lottare contro il riscaldamento globale del pianeta ed a creare contemporaneamente nuovi posti di lavoro. Il testo, di oltre 1.200 pagine, deve essere ancora approvato dal Senato. Alla Camera ha ottenuto 219 voti a favore (appena uno in piu' dei 218 necessari) e 212 contrari.
Il presidente americano Barack Obama, citato dai media Usa, si e' detto felice del risultato ed ha definito il progetto come ''una vittoria del futuro sul passato'' nonche' come ''una passaggio audace e necessario''.
la Stampa, 5 luglio: Bob Geldof "La cancelliera Merkel, il premier Brown, persino il presidente Sarkozy hanno aumentato gli aiuti per la povertà. L’Italia li ha ridotti di 400 milioni. Tutti mantengono le promesse, tranne il governo italiano. Presidente Berlusconi, come può guidare il G8?".
Le citazioni riportate qua sopra danno il senso di come mentre fra gli altri pasei del G8, Usa in testa, sia evidente la connessione fra temi locali e temi globali quando si parla di sviluppo e di leadership, in Italia i comportamenti siano assai diversi.
Putroppo l'Italia che fa già fatica a guardare all'Europa, men che meno a tenta di capire cosa succede fuori dal continente. Tutto viene analizzato e verificato con logiche interne, e pure male. Tanto che immediatamente a destra c'e' chi si indigna quando uno di loro fa notare i cortocircuiti che le varie iniziative possono provocare nel paese.
Ad esempio credo che anche l'ultima uscita di Giovanardi, con l'appello alla regolarizzazione di collaboratrici e badanti, sia dovuta alla constatazione in un pezzo del PDL, della irrazionalità ed impopolarità di un provvedimento che rischia di privare una parte della società di collaborazioni rese oramai indispensabili dall'invecchiamento della popolazione e dalle insufficenze del sistema sanitario pubblico.
Eppure un paese con qualche ambizione, come dice di essere l'Italia, dovrebbe provare a ragionare razionalmente sui temi dello sviluppo e sopratutto dovrebbe farne oggetto di dibattito fra i suoi cittadini, perchè è sempre più chiaro come quello che accade in Africa od in Asia può avere ripercussioni sulla nostra vita, e sopratutto come molte delle scelte che vengono fatte nell'occidente influiscono sulla vita di quelle persone, compreso sulla scelta di molti di loro di prendere la via dell'emigrazione.
Allora partiamo dai ragionamenti razionali, provando a vedere le connessioni che vi sono fra migrazioni, tematiche dello sviluppo, tematiche ambientali e impegni dell'occidente.
1) Uno dei dati incontrovertibili è come i fenomeni migratori siano destinati a crescere, e non per i successi delle politiche economiche occidentali, che generano una prosperità che attira i poveri del mondo (quello che viene definito il pull factor) ma per gli insuccessi delle politiche occidentali laddove si relazionano ai paesi in via di sviluppo. E non si tratta solo di politiche di cooperazione, dove la lista delle promesse mancate è lunghissima, ma nel meccanismo di sviluppo dell'occidente che ha creato diseconomie per i paesi in via di sviluppo.
La vulgata dice che i paesi che sono rimasti al palo lo sono rimasti perchè guidati da autocrati e corrotti, ed è una analisi giusta, tuttavia meno si dice di come per un mondo interessato a mantenere bassi i prezzi delle materie prime, l'esistenza di autocrati e corrotti, e con un buon controllo del territorio, è spesso il prezzo da pagare per evitare che paesi ricchi di queste risorse acquisiscano anche il controllo dei prezzi delle loro risorse.
Insomma, la povertà del sud dice molto su di noi e sul nostro modello di sviluppo economico. Un modello di sviluppo economico che peraltro ha conseguenze negative anche sulla nostra qualità di vita.
Non si tratta quindi di farlo solo per "loro", si tratta di farlo anche per noi.
Questo diventa evidente quando parliamo di ambiente, e questo sarà particolarmente evidente nei prossimi mesi mano mano che ci avvicineremo alla conferenza dell'ONU di Copenhagen sul riscaldamento globale.
Una conferenza di cui poco si parla in Italia, un po' per una certa incapacità del sistema informativo a guardare a temi che travalicano i confini, un po' forse per l'imbarazzo derivante dal fatto che l'Italia è fra i paesi che meno ha fatto per rispettare gli impegni di Kyoto, un pò probabilmente per il fatto che il nostro paese è ben fornito di "negazionisti del riscaldamento globale" e come molti di questi abbiano responsabilità di governo e siano in grado di dettare l'agenda informativa.
2) E tuttavia i disastri ambientali sono un formidabile push factor: è diventato infatti sempre più evidente come gli squilibri conseguenti al fattore serra stiano colpendo in misura assai maggiore e precoce i paesi della fascia equatoriali, soggetta a regimi di pioggie torrenziali e cicli aridi con una successione e dinamiche cui quei paesi non erano abituati e peri quali non vi sono risposte nelle pratiche millenarie di quelle agricolture di sussistenza.
Ne tanto meno le economie di quei paesi sono preparate a sostenere l'impatto delle povertà di natura ambientale. E' possibile che nessuno dei clandestini africani che arrivano da noi sia direttamente un "profugo ambientale" ma è assai probabile che il mancato sviluppo del suo paese e le mancate opportunità conseguenti abbiano una derivazione di tipo ambientale. E' il caso del conflitto nel Darfur, e' il caso delle dinamiche nel corno d'Africa.
C'e' da chiedersi ad esempio quale futuro potrà avere un giovane del Chad, che è il settimo Paese più povero al mondo, dove l’80% dei suoi 9 milioni di abitanti vive sotto la soglia della poverta con meno di un dollaro al giorno. Il Chad ha visto il lago da cui prende il nome ridursi ad una pozzanghere (e' passato dai 28,000 kmq di estensione del '800 ai 1500kmq di oggi.
Il paese accoglie oggi oltre 270.000 rifugiati, in maggioranza provenienti dal Darfur e in parte dalla Repubblica Centro Africana, e assiste oltre 180.000 sfollati interni. Ed il conflitto del Darfur è stato definito il primo conflitto dovuto all'effetto serra perchè ha visto un tema antico, lo scontro fra civilta stanziali e civiltà pastorali per l'uso della terra, avvenire in un contesto di progressiva desertificazione.
3) La gravità delle modificazioni introdotte dalle mutazioni climatiche è sempre più evidente: non siamo più infatti alle lamentele sulle mezze stagioni scomparse ma ad una ben più concreta analisi con conseguente strategia, predisposta e discussa in consessi internazionali di altissimo livello, e che prevede impegni specifici da parte di tutti i paesi per la riduzione dei gas serra.
Per essere più specifici: l'impegno è impedire un aumento della temperatura globale di due gradi, soglia oltre cui si stima che i mutamenti sarebbero probabilmente irreversibili, mediante una riduzione delle emissioni dannose che riporti la terra alle condizioni del 1990.
Il dato significativo è che perchè questo obbiettivo sia raggiunto occorre che tutti i paesi concorrano: per essere chiari, se anche i paesi sviluppati rispettassero i loro impegni (e non li stanno rispettando), senza un analogo impegno dei paesi in via di sviluppo, gli obbiettivi di riduzione delle emissioni globali non verrebbero raggiunti.
Con un danno per tutti, sia per chi già vive nelle zone più fragili del pianeta, che per chi invece ancora si accorge dei mutamenti climatici per una solo per la sempre più rapida successione di fenomeni atmosferici inusuali poco promettenti per il futuro.
E tuttavia alcuni dati sono certi:
76% delle emmissioni già presenti nell'atmosfera sono responsabilità dell'occidente
un australiano immette nell'atmosfera 5 volte più di un cinese, un canadese 13 volte più di un indiano.
100 paesi in via di sviluppo, con una popolazione di un miliardo di persone è responsabile del 3% dell'effetto serra.
I paesi sviluppati hanno più risorse GDP procapite, ad esempio gli Stati Uniti hanno un GDP che è 10 volte quello cinese e 19 quello Indiano.
Questo a dire che le risorse per salvare la terra stanno prima di tutto da questa parte dell'emisfero, così come le responsabilità per i danni....
O meglio:
se i paesi in via di sviluppo intraprendono una strada simile alla nostra, i disastri ambientali saranno analoghi.
Se non si sviluppano ci sarà un inesorabile esodo verso il nord del mondo.
Per svilupparsi in modo rispettoso dell'ambiente occorrono tecnologie e risorse di cui non dispongono e che invece sono patrimonio dell'occidente...
Ed allora si ritorna al punto di partenza evidenziato dalle citazioni: abbiamo un imperativo a guardare al mondo, un imperativo che non nasce dalla pur nobile voglia di fare del bene, ma dalla circostanza che è il nostro futuro ad essere in gioco. Ed è per questo che è indispensabile sottolineare come l'Italia non stia facendo la sua parte.
3.7.09
Comunità internazionale e diritti umani
Con l'irruzione nelle nostre case delle immagini delle manifestazioni iraniane, ancora una volta si sono sentiti gli appelli alla comunità internazionale, perchè intervenisse per impedire le violazioni dei diritti umani rese evidenti dalle immagini che televisioni, social network e giornali, ci proponevano.
Credo che l'indignazione sia legittima, e assolutamente doveroso fare il possibile per dimostrare la solidarietà con i manifestanti, e tuttavia occorre anche essere in grado di sfuggire ai pericoli nascosti dietro ad alcuni di quei appelli.
La prima questione: la comunità internazionale. E' un concetto piuttosto astratto che nella testa di troppi nasconde invece una idea abbastanza concreta riassumibile nel sistema di valori e pratiche proprie dell'occidente. A mio avviso la solidarietà è invece tanto più utile quanto più cerca di capire i valori e le aspettative dei soggetti di cui stiamo parlando.
Valori che a volte possono essere radicalmente diversi dai nostri.
Insomma non solidarizzare con gli iraniani in piazza perchè usano social network e telefonini come noi, e quindi ci somigliano, ma perchè vogliono dire la loro nel loro paese come noi vogliamo dire nel nostro.
Ma questo rimanda al secondo tema, ancora più rilevante quello del sistema di obblighi connesso alla applicazione del principio della difesa dei diritti umani. Il concetto di diritti umani è un concetto che ha conosciuto nella storia passaggi cruciali, culminati probabilmente nella dichiarazione universale dei diritti dell uomo del 1948, e tuttavia quella dichiarazione non ha messo la parola fine al percorso per la costruzione di un sistema di difese dei diritti dell'uomo.
In realtà la individuazione di una serie di principi condivisi da tutti i sistemi politici ed a tutte le latitudini ha costituito solo il primo passo per il loro riconoscimento.
E' infatti innegabile che per consentire il riconoscimento di diritti sono necessari sistemi giuridici e di organizzazione statale adeguati, e la storia ci dice che questo spesso non è il caso, sopratutto laddove a violare i diritti sono gli stessi soggetti che dovrebberlo difenderli.
In sostanza abbiamo una dichiarazione universale scritta da un consesso di stati, un sistema di convenzioni ratificate dagli stati nazionali, che dovrebbe garantire il rispetto di quei principi, degli organismi che vigilano sui principi più rilevanti (l'ultimo è il trattato istitutivo della corte penale internazionale), e tuttavia il sistema di protezioni ha un percorso assai più accidentato quando entra nei confini interni degli stati nazionali.
Nel corso degli anni si sono cercate soluzioni al dilemma, con definizioni quali quella dell'interventismo umanitario, obbligo alla protezione, polizia internazionale, e tuttavia non si può dire che queste siano state soddisfacenti. Anzi, a volta le cose sono andate peggio.
Il problema è che il sistema dei diritti universali regge solo se incorpora anche una sua dimensione locale, se è in grado di avere una sua declinazione locale. Se, per dirla con le parole di un leader iraniano in esilio, i ragazzi di Teheran sentono che lottano per i loro diritti e non per gli interessi della comunità internazionale...
Nel caso iraniano, ad evidenziare questa distanza fra dimensione universale e dimensione locala, una cosa che mi ha colpito di alcuni commentatori delle vicende iraniane, era che sottolineassero come il contrasto fosse tutto interno ad una teocrazia che si conosce da anni, a sottointendere come non fosse lecito aspettarsi molto.
E' un commento giusto se riteniamo che la forma con cui noi decliniamo la democrazia sia l'unica possibile, ma diventa profondamente sbagliata se invece pensiamo che i ragazzi che urlano alla notte "Allah e' grande", che chiedono dove sia finito il loro voto, che manifestano la loro volontà di essere protagonisti della vita del loro paese con tanti modi diversi, dalla documentazione dei blog ai messaggi sui social network, siano il segnale della presenza di una società che si ritiene titolare di diritti, quei diritti scritti nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Siano in sostanza il segnale della presenza della condizione necessaria per una declinazione locale del tema dei diritti.
Il nostro compito è saper leggere ed interagire con questi fenomeni, magari sarà più difficile che cullarci nelle nostre certezze e proteggerci coi nostri schemi mentali, ma sicuramente sarà molto più interessante ed utile.
Credo che l'indignazione sia legittima, e assolutamente doveroso fare il possibile per dimostrare la solidarietà con i manifestanti, e tuttavia occorre anche essere in grado di sfuggire ai pericoli nascosti dietro ad alcuni di quei appelli.
La prima questione: la comunità internazionale. E' un concetto piuttosto astratto che nella testa di troppi nasconde invece una idea abbastanza concreta riassumibile nel sistema di valori e pratiche proprie dell'occidente. A mio avviso la solidarietà è invece tanto più utile quanto più cerca di capire i valori e le aspettative dei soggetti di cui stiamo parlando.
Valori che a volte possono essere radicalmente diversi dai nostri.
Insomma non solidarizzare con gli iraniani in piazza perchè usano social network e telefonini come noi, e quindi ci somigliano, ma perchè vogliono dire la loro nel loro paese come noi vogliamo dire nel nostro.
Ma questo rimanda al secondo tema, ancora più rilevante quello del sistema di obblighi connesso alla applicazione del principio della difesa dei diritti umani. Il concetto di diritti umani è un concetto che ha conosciuto nella storia passaggi cruciali, culminati probabilmente nella dichiarazione universale dei diritti dell uomo del 1948, e tuttavia quella dichiarazione non ha messo la parola fine al percorso per la costruzione di un sistema di difese dei diritti dell'uomo.
In realtà la individuazione di una serie di principi condivisi da tutti i sistemi politici ed a tutte le latitudini ha costituito solo il primo passo per il loro riconoscimento.
E' infatti innegabile che per consentire il riconoscimento di diritti sono necessari sistemi giuridici e di organizzazione statale adeguati, e la storia ci dice che questo spesso non è il caso, sopratutto laddove a violare i diritti sono gli stessi soggetti che dovrebberlo difenderli.
In sostanza abbiamo una dichiarazione universale scritta da un consesso di stati, un sistema di convenzioni ratificate dagli stati nazionali, che dovrebbe garantire il rispetto di quei principi, degli organismi che vigilano sui principi più rilevanti (l'ultimo è il trattato istitutivo della corte penale internazionale), e tuttavia il sistema di protezioni ha un percorso assai più accidentato quando entra nei confini interni degli stati nazionali.
Nel corso degli anni si sono cercate soluzioni al dilemma, con definizioni quali quella dell'interventismo umanitario, obbligo alla protezione, polizia internazionale, e tuttavia non si può dire che queste siano state soddisfacenti. Anzi, a volta le cose sono andate peggio.
Il problema è che il sistema dei diritti universali regge solo se incorpora anche una sua dimensione locale, se è in grado di avere una sua declinazione locale. Se, per dirla con le parole di un leader iraniano in esilio, i ragazzi di Teheran sentono che lottano per i loro diritti e non per gli interessi della comunità internazionale...
Nel caso iraniano, ad evidenziare questa distanza fra dimensione universale e dimensione locala, una cosa che mi ha colpito di alcuni commentatori delle vicende iraniane, era che sottolineassero come il contrasto fosse tutto interno ad una teocrazia che si conosce da anni, a sottointendere come non fosse lecito aspettarsi molto.
E' un commento giusto se riteniamo che la forma con cui noi decliniamo la democrazia sia l'unica possibile, ma diventa profondamente sbagliata se invece pensiamo che i ragazzi che urlano alla notte "Allah e' grande", che chiedono dove sia finito il loro voto, che manifestano la loro volontà di essere protagonisti della vita del loro paese con tanti modi diversi, dalla documentazione dei blog ai messaggi sui social network, siano il segnale della presenza di una società che si ritiene titolare di diritti, quei diritti scritti nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Siano in sostanza il segnale della presenza della condizione necessaria per una declinazione locale del tema dei diritti.
Il nostro compito è saper leggere ed interagire con questi fenomeni, magari sarà più difficile che cullarci nelle nostre certezze e proteggerci coi nostri schemi mentali, ma sicuramente sarà molto più interessante ed utile.
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